Bruce Dickinson “What does this button do?” Recensione

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“Dickinson, convitto Sydney, non idoneo al canto”

La comunità maideniana era in fibrillazione da tempo.
“Chi acquisterà i diritti per What does this button do?”? è stata per mesi una domanda che ha popolato forum e social.

Qualche mese addietro, dopo false vie e qualche ermetica indiscrezione, finalmente l’ufficialità: “Sarà Harper Collins a pubblicare la versione italiana dell’autobiografia di Bruce Dickinson”.

Ed eccoci qui (finalmente) a parlare di un volume atteso da tutti gli heavy metal kids del nostro paese. Un’opera elegantemente vestita da una sovra-copertina fedele alla versione britannica del volume, che in circa 430 pagine appare in grado di raccontarci l’uomo Dickinson, mediante la costruzione narrativa di una vita in cui non sono mancati eccessi e follie (moderatissime), ma che in realtà, restituisce i contorni di un uomo volitivo, forte, coraggioso e testardo, in grado di superare ostacoli insormontabili.

Il libro, corredato da due sessioni fotografiche a colori, si distingue da opere e similari, in quanto non troverete nulla di simile all’insano e annebbiato comportamento di Ozzy, né tantomeno qualcosa di vicino gli eccessi abbruttenti raccontati da Dave Mustaine. L’insolita biografia appare qui incentrata sulla descrizione di un personaggio fondamentalmente “comune” in cui la musica, pur rappresentando il Santa Santorum dell’uomo Bruce, non appare il reale centro vitale… a differenza dell’amore e della necessità del volare. Proprio quest’ultimo aspetto, infatti, sembra dominare con forza soprattutto la terza ed ultima parte del libro, alternandosi a lezioni di scherma, studio di registrazione e tour.

Come lo stesso autore ammette, (purtroppo) parte di aneddoti legati a figli, mogli, divorzi e attività imprenditoriali sono state epurate per esigenze editoriali, ma di certo, dopo la lettura del libro, nessuno avrà di che lamentarsi. Difatti, partendo dalla rigida educazione infantile, il lettore potrà scoprire la vita della più celeberrima “sirena antiaerea” raccontata tra bullismo, Tolkien, storiche battaglie, i Deep purple, la mitologia norrena e la scrittura, oltreché il percorso di un divo che avrebbe voluto entrare nell’esercito o avrebbe voluto diventare un batterista… ma che in realtà è divenuto una vera e propria icona del NWOBHM, incarnando un ruolo di rilievo nella crociata Heavy Metal.

Il libro (permettetemi di banalizzare) appare imprescindibile per tutti i fans dei Maiden, in quanto riesce con leggerezza a raccontare un lungo iter biografico che dai Samson ci conduce sino al Dickinson che realizza il proprio sogno, superando i litigi da primedonne con Harris, le delusioni dei fan orfani di Paul Di Anno e un concerto nella peggior Sarajevo di sempre.
Il volume cartonato non manca poi di raccontare divertenti, curiosi e a tratti disgustosi eventi di una vita spinta 300 km all’ora, molto, molto diversa ad esempio da quella condotta dal mitologico Kilminister, anch’esso pilota di un’esistenza corsa a folle velocità, ma di certo condotta verso diverse località.

Non mancano infine riferimenti a romanzi, documentari e opere filmiche nate dalla creatività di un uomo che, dal punto di vista iconografico, non ho mai amato in maniera viscerale, ma che indubbiamente è riuscito a cambiare la mia vita in quel lontano 1984… e presumo di non essere stato l’unico a subirne l’influenza.