Concrete Block “Twilight of the god” + intervista

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Per comprendere i l nuovo disco dei Concrete Block può essere forse utile partire dall’analisi dello splendido dipinto di Carlos Schwabe, scelto come cover della nuova release. Il teutonico artista, figlio del simbolismo , grazie alle sue allegoriche illustrazioni e al suo talento florido, ha mostrato di sé piccoli capolavori spesso sottovalutati. Tra questi possiamo annoverare Il fauno, opera del 1923 che, con l’esaltazione dei suoi particolari, supera la pura visività. Così come il simbolismo anche la band torinese, attraverso suoni e liriche, sembra voler cercare una simmetria tra il loro vissuto e il mondo oggettivo, nell’intento di dare visibilità ad una realtà nascosta, evocata da un’intensità emotiva che fa di questo disco un’opera matura e d’impatto.

Una sonorità diversificata rispetto agli esordi, in un percorso similare proprio alla mitologia del Fauno, che nasconde in sé una sorta di processo di differenziazione, assomigliante a quello subito (o voluto) dalla band, complice la nuova collaborazione con la F.O.A.D, grazie alla quale la band è riuscita a concretizzare un più chiaro sviluppo sonico.
Dunque, superate le annose difficoltà di assestamento, il quintetto offre oggi ai propri fan un disco davvero interessante che, pur improntando il lavoro su di un piano sonoro alquanto imponente, non manca di sottolineare un’inusuale attenzione compositiva.

Ad aprire la nuova fatica sonora è Through The Bars , definita da piccolo ronzio che inizia a mettere tra i nostri padiglioni auricolari la musica dei Concrete, sin dal primo ascolto caratterizzata da una buona attenzione per la partitura, senza inutili tecnicismi. Non si perdere dunque grevità nè genuinità, grazie anche all’ottima vocalità del frontman, portatore di un ritmo tiratissimo il cui l’incedere alle pelli offre spazio narrativo ad una linea roca e cartavetrata, per certi versi vicina non tanto al Peter Steele composito e cervellotico dei non dei Type of Negative, ma piuttosto a quello più diretto dei Carnivore, citati esplicitamente dalla cover di Armageddon. Funzionale alla narrazione appaiono le enclave strumentali, da cui, grazie ad un rallentamento controllato della ritmica, si arrivano a percepire degli sviluppi emozionali diversificati e tutt’altro che causali, proprio come dimostra Trust No One. La traccia, alquanto convincente con il suo martellante incipit, va ad anticipare l’improvvisazione doom di una struttura in cui emergono anche insoliti call e response. Impossibile poi non lasciarsi trainare dalle sensazioni Napalm di Die Alone e dalla cruenta Death Is The Only Law, le cui spezie grind e le posate reminiscenze speed si alternano a rallentamenti di forma, interposte tra il thrash e il doom.

Un disco granitico, il cui impatto sonoro dona concretezza a questo blocco di cemento pronto a colpire l’ascoltatore con un opera dalla perfetta durata vinilica.

Non sono solito consigliare l’acquisto di un disco in maniera diretta, ma solo attraverso le emozioni che spesso cerco di dare con l’uso delle parole, ma questa volta mi sento di dovermi esporre banalizzando il concetto: fossi in voi correrei a comprare questa nuova release dei Concrete Block.

Intervista

1. Come di consueto le mie interviste si aprono con la medesima domanda…Da cosa deriva il vostro nome? Cosa significa Concrete Block e come nasce la scelta del vostro monicker?

Il nostro nome deriva dai palazzoni di cemento dove vivono ammassate migliaia di persone, nella nostra grigia cittadina. Significa chiaramente blocco di cemento, volevamo un riferimento sia all’ambiente sia ad un tipo di suono.

2. Come è nata l’idea di utilizzare come art work un opera di Carlos Schwabe?

Abbiamo trovato l’immagine quasi per caso e ci e’ piaciuta, vedere il dio Pan che si accascia al tramonto era l’ immagine ideale per il titolo dell’album.

3. Come e perché è avvenuto il passaggio dalla Countdown Records alla F.O.A.D. Records?

Nessuna storia particolare, Countdown aveva chiuso i battenti per un certo periodo, ora si e’ trasferita a NY, e’ quasi impossibile per un etichetta italiana sopravvivere negli ultimi anni: il passaggio a FOAD e’ arrivato chiacchierando, riteniamo che sia l’ unica etichetta in questo momento in Italia che ci poteva garantire un minimo di esposizione, ed allo stesso tempo era l’ unica che potesse darci un certo tipo di rilevanza, era anche l’ etichetta ideale per liberarci dal cliché dei cloni del NYHC che ci era stato affibbiato, oramai ci stava veramente stretto.

4. Rispetto al vostro debutto cosa offre questa nuova release?

Sicuramente un livello tecnico e compositivo superiore, un approccio sempre immediato, ma con molte variazioni sul tema, volevamo che il progresso tecnico fatto in questi 5 anni dall’ ultimo disco si sentisse tutto, ma che allo stesso tempo conservasse un marchio di fabbrica.

5. Quanto le vicende personali e i cambi di line-up hanno influito sulla rabbia e le concettualità celate dietro alle nuove partiture?

Il fatto che per 5 anni non siamo riusciti a scrivere un album ed uno scioglimento in mezzo e’ stato molto pesante, comunque sia i due nuovi chitarristi erano fans della band, in fase creativa sapevano benissimo di cosa si parlava e cosa dovevamo fare e’ venuto tutto fuori in maniera abbastanza naturale.

6. Ancor prima di leggere il titolo dell’ultima traccia, la mente è subito accorsa ai Carnivore, complice il mio amore per i loro due mitologici lavori. Sono entrato così in immediata empatia con lo stile della band. Come vivete il paragone inevitabile con la band di Retaliation?

E’ un complimento gradito, anche loro come noi, cercavano di descrivere una società depressa, allo sbando, in maniera sarcastica e surreale.

7. Quale motivazione vi ha condotto alla coverizzazione di Armageddon?

Le parti sludge e hardcore ed il testo si adattavano benissimo ai pezzi dell’album, e poi volevamo fare conoscere questa grande band sottovalutata e finita nel dimenticatoio per certi versi.

8. Da dove arrivano i Concrete Block? Quali sono i retroterra cultural-musicali che portate in dote?

Arriviamo dal mondo del lavoro, della working class, siamo tutti figli di immigrati dal sud Italia, abbiamo tantissime difficoltà a portare avanti questo progetto, probabilmente suoniamo per uscire dalla merda che ci circonda più che per un esibizione dell’ ego.

9. Quanto è importante per una band come voi dividere il palco con band come Sepultura, Sick Of It All e Agnostic Front?

Moltissimo anche perché ci siamo arrivati per merito, né pagando e né perché quegli eventi ce li siamo organizzati noi.

10. Rispetto al mondo del web come vi ponete? Ho notato che esiste un profilo Facebook ma non un website vero e proprio…

Purtroppo o per fortuna tutto è ancora molto DIY all’ interno della band, per adesso il nostro problema e quello di sopravvivere nella vita di tutti i giorni, magari un giorno potremo permetterci qualcuno che si occupi di tutte queste cose, ma non essendo un gruppo professionista e’ abbastanza difficile, potersi permettere quel tipo di esposizione in maniera adeguata.

11. E se trovaste il vostro Twilight of the Gods su Emule? Come vi ponete rispetto al file sharing?

Ci darebbe fastidio, ripeto non siamo ricchi, che suonano per noia, siamo un gruppo underground che fatica veramente a fare quello che fa, ci piacerebbe che la gente ci supportasse, se fossimo un gruppo maistream non avremmo problemi a riguardo, sai se fai 80 date all’ anno a 10.000 euro a concerto, il problema non si pone..