0047Crap

crap.gif

Dall’”officina” Megaplomb è appena uscito un prodotto che probabilmente incontrerà i favori di chi ama la musica nelle sue esibizioni più libere. L’opera in questione porta il nome di Crap, ensamble di jazz acrobatico, che riunisce quattro talentuosi elementi del panorama musicale italiano: Roy Paci, che lascia momentaneamente gli Aretuska per unirsi all’Enfance Rouge Jacopo Andreini, al basso di Helmut Cipriani e al polistrumentista Edoardo Ricci, che appare in questo “Crap” anche come ideatore dei disegni che dominano la cover art.

Il cd, pubblicato nella prima decade di novembre, rappresenta l’unica testimonianza in studio del gruppo, nato nell’ormai lontano 1997, che ha visto il proprio capolinea nel 1999 dopo una serie di concerti per l’Italia del jazz.

L’album si dipana attraverso un intricato intreccio di suoni improvvisati, che ci avvolgono mediante musicalità parzialmente distinte, come nella bonsai “Bus muy rapido”, che si articola in soli 29 secondi, oppure nella deliziosa “Green fegatello”, in cui il clarinetto basso di Ricci improvvisa su un ritmo felliniano, che sulla lunga gittata trasforma l’iniziale spensieratezza, in un ridondante sentimento di inquietudine, complice anche l’esuberante giro di basso e gli inusuali suoni provenienti da bislacchi armamentari. Le sensazioni si amalgamano e si sostituiscono molto rapidamente, anche all’interno della medesima realizzazione. Infatti non esistono partiture ben precise, mentre il talento dei musicisti coinvolti nel progetto Crap, permette un free jazz di buon impatto che consente di visitare, seppur liminarmente il territorio jaser.

Risulta comunque impossibile, o per lo meno poco significativo, cercare di elencare i vari generi e sottogeneri che emergono dalle quattordici tracks, anche perché l’album risulta essere fedele a quell’espressività d’improvvisazione che ha sempre caratterizzato la musica di New Orleans.

Un disco che forse non sarebbe piaciuto nella Luisiana del 1900, ma proprio da li arriva con la sua istintività al di fuori degli schemi. Una musica che come un dipinto astratto sarà percepita in maniera soggettiva, con la sua atonalità e un imprevedibile irregolarità della metrica, che piacerà ugualmente a chi ha amato il free jazz newyorkese degli anni 70 e a chi non prescinde dai dischi degli Ensturzende.