Curse of the forgotten “Building the palace”, recensione

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Metal, fast played, low-tuned.

Così si legge nella biografia della giovane metalcore band olandese, da poco approdata sotto l’ala protettrice della Worm Hole Death. Il quartetto di Gheldria, rafforzato da una buona quantità di on stage, arriva al debut album con 11 tracce intercalate tra vocalità Amon Amarth e Lamb of god. L’album, masterizzato da Christian Donaldson (Criptopsy!), si offre all’acquirente con un corposo booklet, in cui le sessioni fotografiche, pur ripartendo da una buona idea espressiva, non riescono al pari della cover art a conquistare a fondo. Il disco però, nonostante piccoli peccati veniali, si presenta come complesso e curato, trapelante sudore e fatica, che i quattro riescono a convogliare in partiture vicine al mondo dei Meshuggah.

La band riesce a recuperare interessanti forze espressive che, con alterne fortune, offrono una visione d’insieme a tratti acerba, ma in grado di porre le basi per un futuro professionale sul quale arrampicarsi con la spavalderia della sei corde e la genuinità della sessione ritmica, entrambe piacevoli nelle loro performance.

A dare l’invito all’ascoltatore è il disturbante incipit cripto-horrorifico di Times march on, all’interno del quale ritroviamo anche un inatteso fraseggio italiano. Il battesimo d’introduzione anticipa la velocità esecutiva di Snake, in cui il pressante ritmo evidenzia momenti proto-blasting, in grado di scollare una battente enclave sonora pronta ad offrire al guitar solo gli appigli per risalire la portante struttura sonora. Partendo da un buon assetto, le tracce riescono a ridefinirsi mediate back voice nereggianti e filtraggi vocali d’impatto che superano il proprio ego con Electric disaster. Proprio attraverso quest’ultima si arriva ad un corposo rallentamento iniziatico, da cui il tipico spoken style ci garantisce la giusta chiave verso l’inquietudine persa dell’incubo elettrico, fagocitante spada di Damocle che limita i confini del narrante ( we are not in control anymore, we are watched, we are controller ). Gli stilemi heavy che iniziano a percepirsi tra ridondanze blandamente death, si vestono speed con la titletrack, in cui la grevità del drum set è bilanciata da intarsi più armonici ed (eccessivi) virtuosismi chitarristici.

La vocalità di Marijn Fuhler, sempre più assimilabile alle linee di Johan Hegg, arriva poi a narrare l’intrinseca sensazione di claustrofobia in Erasing piece by piece , attraverso un’impostazione sofferente che si appoggia ad un impianto sonoro che forse perde mordente sul lungo tracciato.
Non mancano poi sensazioni black ( A living lie) e velature melanconiche (Mission corruopted ), il cui finale aperto viene costruito da un’ottima opera in post produzione, in grado di fornire un livellamento acustico di spessore, proprio come dimostrano The prisoner e Who is beatraying , annoverabile tra le tracce meglio riuscite, non solo grazie al loro furore espressivo, ma anche e soprattutto ad partitura ben delineata.

Tracklist

1. Time Marches On
2. Snake
3. Electric Disaster
4. Building the Palace
5. Erasing Piece by Piece
6. The Prisoner
7. A Living Lie
8. Slave’s Plague
9. Who Is Betraying
10. 77
11. Mission Corrupted