Dakota days

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E se Ronald Lippok e Al Fabris, già collaboratore di molti artisti, tra cui Pacifico e Blonde Redhead decidessero di incontrarsi artisticamente? Cosa succederebbe? Ora lo sappiamo…infatti, la reazione chimica consequenziale porta il nome di Dakota Days.

L’album imperniato di consci e aulici sviluppi, si apre con “Slow”, rilettura intimista ed orientaleggiante di un brano di Kylie Minogue, traccia avvinghiata ad un alternative space noise, nutrito di sonorità metodiche e ridondanti, visionarie e psichedeliche. In buon incipt, destabilizza e fagocita l’ascoltatore, grazie anche all’ottimo lavoro del basso, sempre presente, preciso ed inquietante, in un tracciato armonico attorniante la linea di cantato, in slow tempo molto seventees.

Il saporito disco con “Placet of the apes” strizza poi l’occhio al mondo di Jarvis Cocker e dei suoi Pulp, mescolando l’animosità brit pop con l’alternative rock anni 90, per poi perdersi in episodi meno incisivi come “Autumn of”, forse poco significativa nella sua musicalità.

Il disco offre però piccole gemme intimiste come “Dakota days”, in cui un minimalismo sognante introduce l’ascoltatore in una sorta di trance onirica, un movimento sonoro soffice e delicato come nuvole inquiete sospinte dal vento freddo del nord. Riverberi metallici allontanano la traccia dall’easy listening per accostarla ad un post rock, che diventa rugginoso e freddo in “The Kiss”, brano che vive di ritmiche jazzate e viaggianti. La cadenza post si (re)incontra anche in “Whitout a stone” e nell’ipnotica “Sometimes”, per poi sciogliersi in echi e riverberi vicini all’acoustic moviment in “Love boat”, che sembra nascondere un lato incastonato tra una bowieana realtà e sonorità Wild Mood Swings…ma che in realtà ricostruisce semplicemente la lirica della serie cult omonima.

Un disco che non trascurando né correnti new wave, né la schietta aurea prog, può apparire un disco più ampio di ciò che sembra emergere dalla sua descrizione. Un disco da ascoltare con trasporto ed attenzione, se non addirittura ad occhi serrati, perché brani come “The hunter” e “Sinners like us” non riuscirebbero a vive appieno, se mescolate con la degenerante generazione multitasking.

tracklist

1. Slow
2. Planet Of The Apes
3. Autumn Of
4. Sinners
5. Without A Stone
6. Claire De Kitchen
7. The Kiss
8. Dakota Days
9. Love Boat
10. The Hunter
11. Sometimes
12. Silver Mine