Dan Sartain “Dudesblood”, recensione

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Arriva dall’Alabama vestito di Rock’n’Blues sporco ed infangato da punk, hardcore e follia. Si chiama Dan Sartain di professione songwriter fuori dagli schemi. Una sorta di cantore poliedrico, abile nel raccontare attraverso l’essere e non attraverso la mera estetica del proprio ego. Dan, arrivato a noi grazie alla One little indian e alla promozione dell Ja.La media activities, sembra aver raccolto sul suo sentiero le polveri delle esperienze live degli ultimi anni, mostrando il coraggio espositivo ed esplosivo di dieci tracce marchiate dal Parental Advisory e racchiuse tra le tanto imbarazzanti quanto kitch foto session del packaging. Solo ascoltando il disco nella sua interezza si arrivano a percepire alcune scelte del design voluto dall’artista, forte nel suo voler proseguire verso un viatico eclettico, in cui inesauribili idee ci restituiscono un novello Beck.

Anche l’ascoltatore più osservativo e cauto non potrà che concedersi un alternative trip tra le note di una mirifica titletrack, in cui la grezzezza punk arriva a danzare tra i ritmi di una matrice dance, celata da un rinnovato spirito ’77. Una riuscita mescolanza esecutiva dedita al metro diretto, qui vicino ai più ispirati Ramones, coartati verso spazi sonori granulari e linee narrative non lontane dall’opus di Wattie Buchan. Il forte impatto sonoro dell’opener viene però immediatamente calmierato dall’approccio bowiano di Pass this on, in cui le corde strappate conducono ad un intreccio allegorico tra sarcasmo e innovazione. Il fade out ci porta poi verso Marfa lights,traccia dalle inattese mescolanze lo-fi, innestata tra una sintomatologia orientaleggiante e un cripto space direzionato dal featuring di Dj Don Bonebrake.

Se poi con You gotta get mad to get things done Sartian si avvicina ad un britpop in Pulp style, in Hpv Cowboy prima e Rawhide moon, l’autore arriva a ridefinire un tex mex sound pronto a ricalcare lo stile punk garage bella battente e scomposta Love is suicide. Da qui si riparte per sensazioni anarco-punk deliziosamente estratte da Smash the tesco, reale e violento impulso sonoro che rimanda a tonalità cockney, grazie alla sua lineare distorsione ed ai suoi pochi ed essenziali accordi.

Un disco dunque che appare allegoria di un dado poliedrico, in grado di mostrare e risolvere le variegate sfaccettature cromatiche di azioni narrative degne di uno sguardo attentivo.