Deep Purple – Roma 12 dicembre 2009

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A distanza di qualche anno dal loro ultimo concerto nella capitale i Deep Purple, uno dei gruppi fondatori dell’Hard Rock che conta un pubblico molto numeroso in Italia tanto da esse considerato il gruppo straniero preferito dagli italiani, si presentano più carichi che mai al Palalottomatica di Roma.

La scenografia è al limite dell’essenziale, qui conta solo la musica. Dopo l’apertura di Maurizio Solieri, lo storico chitarrista di Vasco Rossi, il quale ha presentato il nuovo lavoro da solista, i cinque inglesi salgono sul palco e partono “a palla” con la famosissima “Highway Star” con gli 11.000 del palazzetto che esplodono. La line up è quella che ha fatto la storia dell’hard rock con l’album In Rock nel 1970, con Ian Gillan voce, Don Airey tastiere, Ian Paice batteria, Roger Glover basso, con la sola eccezione di uno straordinario Steve Morse che ha preso il posto di Ritchie Blackmore alla chitarra.

Gillan è in buona forma, rilassato, piuttosto dimagrito. La voce c’è, anche se sugli acuti fa quello che può visto l’età. In scaletta ci sono diverse chicche degli anni ’70: la jam di Lazy, Fireball, con il drumming incalzante di Ian Paice, Mary Long e No One Came.

I Deep oltre ad essere in grande forma si divertono anche, partecipando col pubblico in delirio e suonando alla perfezione diciannove brani di puro Hard Rock, con la graffiante chitarra di Steve Morse a tutto volume che ricama soli in pieno stile “morsiano” i quali strizzano un occhio al vecchio Blackmore per non deludere i fan dei Purple. Soli che spesso fanno parte di un botta e risposta tra Steve e Don, lo stesso Airey che poi mostra tutta la sua tecnica inserendo anche “La marcia alla turca” di Mozart in uno dei suoi soli. Tutti i musicisti durante la durata del concerto si prodigano in pezzi solisti che esaltano il pubblico, compreso Ian Paice.

Space Trucking è il penultimo pezzo prima di Smoke on the Water. Il pubblico esplode in un boato, ragazzi, papà e nonni che saltano e cantano insieme una della canzoni più famose al mondo. Ovviamente il publico chiede a gran voce il bis e non vengono delusi, e i Deep Purple rilanciano con Hush, dove questa volta è protagonista il pubblico nel cantare il ritornello a squarciagola, e Black Night, con gli assoli mozzafiato di Steve Morse che quasi sembrano lacerare le membrane degli altoparlanti.
Un concerto veramente appassionate in cui forse è mancato solo l’inserimento in scaletta di qualche grande classico in più come Child in Time e Burn.