Diego Potron “Winter session”, recensione

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Ci sono casi in cui la copertina di un disco riesce a parlare e descrivere ancor prima delle note che contiene. Non è certo una novità. Basta vedere, osservare e categorizzare stili pittorici e fotografici per navigare verso il giusto sentiero. Così accade per questa Winter session di Diego Potron, iconicamente collocato tra le note indie di un folk alternative d’oltreoceano, in cui vivevano gli Orso e tutte quelle creature underground che hanno alimentato il movimento sul finire degli anni ’90.

L’album, coprodotto da Ammonia records e Femore, sembra volerci avvolgere nel bianco etereo di un rigido inverno, immersi nel bianco ovattante della nebbia che accarezza la delicatezza della neve, metafora di note posate, osservative e calmieranti, da cui fioriscono sensazioni Blue(s) sussurrate e disegnate attraverso minimalismi (Blind sisters’ home) e delicatezze cupe, in grado di raccontarci suoni estesi (Saint Mary) e per certi versi inquieti.

Il movimento della sei corde riesce con finezza a riempire i suoni diretti e giocosi di CarnHate, in cui ancora una volta sembrano emergere reminiscenze narrative degne di Tom Waits, qui posto tra echi e svisate descrittive pronte a farsi poesia con The hole in the heart of the sun.
L’album, cullato dal tipico packaging di Ammonia, ci invita poi verso Death comes to your house, per poi virare verso la magnifica chiusura di Song for Willy Bungler, suggestiva traccia non troppo discosta dal mondo di Jim Jarmusch. Infatti, proprio grazie a partiture minimali, avvolgenti e artisticamente in scale di grigio si arriva a definisce il one man band come una tra le più interessanti realtà folk blues del nostro paese.

Tracklist:

01. Blind Sisters’ home (first tapes)
02. Blue
03. Saint Mary
04. Poor boy
05. CarnHate
06. The hole in the heart of the sun
07. Detour
08. Death comes to your house
09. Song for Willy Bungler