Echran

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Quando alla voce nuove uscite, appare un disco patrocinato dalla lombarda Ebria Records, la necessità è sempre quella di spegnere il mondo attorno, ed ascoltare. La musica proposta dall’etichetta, sempre molto attenta ai nuovi territori inesplorati, qui a braccetto con la Smallvoices Records, possiede l’aspetto senza contorni di un quadro di Kandinskij che guardato superficialmente non riesce a dare le giuste sensazioni; infatti il disco degli Echran non è certo musica da sottofondo. E’necessario, per godere appieno dell’opera, dare ascolto anche al vuoto, e per non rimanere spiazzati è d’uopo sapere che non stiamo per assistere alla decima puntata di un “Posto al sole”, ma ad un film di Chabrol.

L’album vive di minimalismo elettronico e rumorismo ossessivo, ben sintetizzato nella lunga overture “Erste”, sviluppata attraverso contorni sintetici, ma ipnoticamente accoglienti, rispetto alle sonorità maggiormente scomode presenti nella lisergica “Monitor b”, climax sonico in cui gli Echran esprimono la routinaria realtà, attraverso il synth di Davide del Col e la voce pacatamente psicotica di Fabio Volpi. Tracks come “Formant” e “Several”, invece emergono tra le altre, come gli episodi migliori del disco. La prima sembra voler fondere il delicato suono della gentile e tenue natura, assieme all’invadenza meccanica della tecnologia urlante, che finisce con il celare la parte docile della partitura. “Several” invece, ha la maestosità di una perla dell’altronica noble, forse a tratti troppo grezza, ma talmente cinica e no-futuristica da rendere reale quella buia e triste copertina del disco, specchio di una visione di vita in tonalità di grigio.