Exilia

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Quando la nuova ondata metal si fonde a ritrovati sonori dell’underground alternativo, solitamente si ottiene una miscela sonora che in questi ultimi anni ha avuto una anima radicata in quella realtà spesso definita in maniera grossolana nu-metal. Spinti dalla necessità di inquadrare le cose, spesso noi critici musicali non valutiamo le inflessioni e il retroterra fertile che esiste dietro ad ogni band.

Solo attraverso un’attenta analisi è di solito possibile ambire a definire in maniera appropriata un sound, che vorrebbe restare libero dalle catene della categorizzazione. Anelare a questa libertà è pura utopia nella scrittura musicale, perché, volenti o nolenti, tutti noi saremo sempre accompagnati dal lato soggettivo che mai ci abbandona, causa primaria della necessità del catalogare. In questi casi, infatti, l’occorrenza conservativa si unisce alla voglia di orientamento, in un mondo dalle mille sfumature come quello metal.

Gli Exilia rappresentano, con le loro influenze musicali, l’esempio principe della necessità calmierante di collocare in maniera precisa il loro stile, assestabile tra una forma alternativa di metal e il power rock in Guano Apes style, per una sorta di moderato crossover in cui brilla la straordinaria voce di Masha, capace di viaggiare su linee diversificate di toni, passando senza soluzione di continuità dalla rabbia soffocante ad un’inattesa dolcezza espressiva, che pervade le dodici tracce contenute in questa opera quinta del combo milanese.

Dall’introduttivo fade in di Satellite emerge immediatamente un compendio di sensazioni legate al movimento industrial nu-metal, in un crescendo narrativo, in cui le partiture evolvono e la voce perfetta della frontwoman, divide la scena con i riff, che odorano di sinteticità, nel loro essere orientai verso la prima generazione Korn.
Inseguendo poi Alfred Hitchcock (“..se nel primo tempo appare una pistola, nel secondo tempo sparerà..”), la band sembra pronta a strutturare l’anima ben calibrata delle strofe, spesso preparatorie all’esplosione di chorus tipici delle ultime degenerazioni metal. Fortunatamente però i clichè tipici del genere, rimangono controllati dalle idee del gruppo, che ispirandosi a sensazioni Choal Chamber (Unconventional) propongono una buona impronta esecutiva.

Il disco gioca spesso con i volumi di un ottimo drum set e un discreto arrangiamento, che trova un fisiologico momento di decadenza espressiva con My exception e The wrath of Gaia. Non mancano momenti cupi (Invisible e All in vein), né ciò che il buon Lemmy definirebbe semplicemente R’n’R (My self). Con brani come Fully alive prima ci si ritrova tra i migliori episodi del disco e poi tra i convincenti riff orientaleggianti, particelle di una poliedrica vocalità davvero rara, che da sfoggio di sé nella chiusura di In my veins, brano dall’anima Immortale .

Un album che offre un ottimo impatto sonoro, soprattutto nella sua prima parte, riuscendo a ben definire una miglioria dell’arte compositiva, anche se ancora manca qualcosa in fase di arrangiamento. Un’opera di per se convincente, quanto la bella e futuristica cover art, che, tra lti e bassi, trova lo spiraglio opportuno per poter proseguire oltre.

Tracks:

01. Satellite
02. Over the Edge
03. Unconventional
04. Emily
05. Invisible
06. My Exception
07. The Wrath of Gaia
08. Myself
09. Forever
10. Fully Alive
11. All in Vain
12. In My Veins