Giacomo Castellano “Cutting Bidge v2.0 remastered”, recensione

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Quale può essere il trait d’union tra la Chitarra Heavy Metal , Alessandra Amoroso ( mi vengono brividi febbrili nello scrivere questo nome in un mio articolo…) e Paolo Vallesi? La risposta è: Giacomo Castellano.

È proprio il talentuoso chitarrista fiorentino il punto di contatto tra realtà così lontane e diverse tra loro, infatti, l’artista ha avuto l’onore e il coraggio di affiancarsi a due mondi talmente lontani tra di loro che sembra quasi assurdo poterlo credere. Castellano ha completato il suo sentiero musicale attraverso collaborazioni disparate che lo hanno portato al fianco di Vasco Rossi, Noemi, Elisa e il mitologico Adriano Celentano. A questo si aggiungono poi attività teatrali, editoriali e formative che fanno di questo musicista un poliedrico elemento in divenire.

Oggi, dopo quasi dieci anni, la Red Cat Promotion edita la versione 2.0 di Cutting Bridges, versione rimasterizzata anche per l’americana Muso Entertainment. Il disco, remixato da Castellano stesso e masterizzato con una nuova veste dal White Studio di Tommy Bianchi, anticipa di pochi mesi l’uscita della nuova release, attraverso una (ri)proposizioni di brani variegati, che fortunatamente non si accartocciano nell’iper tecnicismo shred, ma al contrario lasciano spazi espressivi a sonorità divergenti e mai ridondanti, pur lasciando estensioni adeguate ai virtuosismi non esibiti ma raccontati.

Addentrandoci tra le pennellate di Cinzia Castellano, l’ascoltatore si imbatte nell’immediato in Gaztambide, brano d’apertura che rappresenta uno dei pochi passi falsi del lungo full lenght. A causa del suo passo banalmente rock (italico), l’impatto scricchiola per poi rinforzarsi con gli slide di L.F.L, le cui arie vintage ci presentano un rock blues appesantito da una chitarra deliziosamente heavy, che si fa santaniana in Garbage e jazz in Try to save yr song.

Castellano, pur non ricercando mai il fastidioso autocompiacimento, riesce grazie a inversioni direzionali e acuti arrangiamenti a definire la sua arte attraverso poliedrici punti di vista. Vi basterà ascoltare l’etereo approccio di Little elves e gli stilemi rhcp di Music part one in featuring con Andre Halyard (Dre Love). Proprio in quest’ultima traccia l’approccio Hip Hop si mescola a spezie jazz, funk e woogie woogie nascondendo sensazioni sperimentali dietro alle corde rock, pronte a deludere con Big as a key e a sorprendere con Cutting bridges #1, chiusura industriale libera (tra rumorismo controllato e sperimentalismo) da ogni schema esecutivo.

Degne di nota sono poi Ariete, la cui struttura hm ci riporta ai Livin Colour e l’emotiva The dream laying on my bed, da cui si erge lo splendore lounge di Raffaella Ruini, capace di estrapolare un’anima Portishead per porla al servizio di una ballad pop rock. Da qui si riparte verso l’uso esemplare del doble bass di Stefano Allegra, voce sonora di un disco che, grazie al suo voler raccontare attraverso diversificati piani di lettura, potrebbe essere di interesse per tutti coloro che amano le sperimentazioni rock prive di estremismi eccessivi.