God of the basement “God of the basement “, recensione

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Nati a Firenze nel 2016, i God of the basement arrivano ad un meritato debutto ricco di influenze, cambi direttivi, idee ben padroneggiatedall’attitudine rock e una linea di basso presente e dominante. Da qui sembrano voler partire i Gotb, spinti da idee chiare e i flussi divergenti, che aprono la strada ad un breve gioco introduttivo atto a portarci immediatamente tra i battiti “museiani” di Hell boar, figlia di un inusuale crocevia tra Placebo, altronica e alternative rock. La traccia, di certo tra le più interessanti del disco, lucida riff distorti e armonie spezzate, in cui la voce di Tommaso Tiranno va specchiarsi con le timbriche di Brian Molko, per poi virare nel cadenzato ritmo di Monday Monkey che (ma forse cado in errore) mi ha riportato all’allegra magia dei Cake.

Mescolando easy aperto e giocosi intarsi hip hop Old school, il disco, promosso da Alka Records parte dunque con il giusto piglio, attraverso impeccabili echi Funk-Soul (With the light off) immersi in ambienti contaminati da samplers, citazioni e prese catchy.Ispirazioni Chuck D appaiono poi nell’andamento di Intermission#1, per poi lasciare spazio al beat avvolgente di We do know e ai nobili richiami floridiani di Beaten up, realizzata dalla collaborazione con i Nothing for breakfast.

L’album gioca infine con il Blues sporco di Kay, pronto a schiudersi verso le note seventies e good vibration di Savior, sulla quale appare impossibile rimanere inermi. Insomma, un ottimo groove, ben calibrato dalla produzione di Samuele Cangi, abile nel donare anima e corpo ad un album intelligente ed ispirato, proprio come il suo ottimo finale: The sinner.

Tracklist:
1. Intro
2. Hell Boar
3. Monday Monkey
4. With the lights off
5. Intermission #1
6. We Do Know
7. Beaten Up
8. Kay
9. Bobby Bones
10. Intermission #2
11. Get Loose
12. The Saviour
13. The Sinner