Guignol – Una risata… ci seppellirà

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Terzo lavoro dei Guignol, gruppo folk-rock-punk-blues, e chi più ne ha più ne metta.
Se credete che non ci sia nulla di cui preoccuparsi, se ritenete che gli ideali che stanno guidando il “pensiero comune” siano solidi e ben fondati, se siete convinti che la nostra società sia quanto di meglio possa offrire la Civiltà, allora lasciate perdere questo disco.
Lasciatelo perdere, perché i testi vi saranno incomprensibili e vi irriteranno fino a farvi dire che i Guignol sono il solito gruppo che spara sul sistema per partito preso e perché il facile disfattismo rende sempre: l’insoddisfazione sarà tale da non farvi neanche apprezzare la musica, energica e sanguigna.

Ma se il più piccolo sospetto che, forse, non tutto sta andando come dovrebbe, che la nostra Italia rischia di abbruttirsi terribilmente, che l’avidità e l’appiattimento stanno annullando la vitalità e la creatività di coloro che pensano che stiamo camminando nella direzione sbagliata, allora sì, ascolterete parole e musica senza soluzione di continuità, e amerete questo lavoro in cui satira e parodia dei luoghi comuni vi appariranno nei loro contorni, nel ritmo pulsante dell’album.
Dieci brani vitali che lasciano percepire una vena di rassegnazione, come se l’ottimismo fosse un fatto per visionari, come se il tentativo di cambiare ciò che non funziona, a partire da sé stessi, fosse un atto isolato ed ingenuo.

Si comincia carichi di energia con “Cristo è annegato nel Po” e la strumentalizzazione della religione, lo scempio di ciò che dovrebbe essere intimamente sacro e che viene invece utilizzato per costruire il consenso e per alimentarlo attraverso la fobia del diverso, utilizzando una presunta cristianità ai fini di un’eterna Crociata, e si prosegue con il fragore di “La montagna”, una montagna immonda che si sfalda con il suo marciume, simbolo di una nazione schiacciata da corruzione e compromessi.

“Il sonno ritrovato” è un brano funky-rock che fonde musica e parole: correre, andare per andare senza sapere dove, in preda alla nevrosi e all’ansia che impediscono di guardare indietro, fino allo sfascio dell’individuo che, sfinito, crolla su sé stesso desolatamente solo, nella peggiore e grottesca solitudine che si possa immaginare e che lo accompagna nella vita e nella morte.

Il brano seguente, “Farfalla”, fra riff di chitarra e un amore schiacciato fra senso di colpa e l’incapacità di ritrovare l’innocenza, è uno dei brani migliori dell’album, e ci trascina in un vortice per condurci, sempre immersi fra i suoni delle chitarre, ai non risolti dilemmi esistenziali de “Il paradosso”, probabilmente il brano musicalmente più “facile” dell’album, e da qui alla cinica indifferenza di “Dall’altra parte” e alla paura della violenza organizzata, raccontata con il sottofondo di atmosfere blues alla JJ Cale (a parte qualche voluta dissonanza…), di “12 marmocchi”.

Nessun calo di tensione, con la musica che scuote i testi e le parole che traggono energia dalla musica: introdotta da un’esplosione di batteria e chitarra distorta, arriva “Polli in batteria”. Polli pronti ad ammassarsi nel conformismo, ma incapaci di alzare la testa per i diritti violati e distrutti in nome del mercato e del guadagno: lo sbandamento di una generazione in preda ad inutili riti collettivi, incapace di riconoscere i propri diritti e di reclamarli, in preda ad un tragico individualismo e a sogni irrealizzabili, vittima del cinismo dell’ambiente di lavoro de “Il turno”.

Siamo alla fine?

No, manca ancora la disperazione del rapporto padrone-dipendente e del rapporto padre-figlio, e quindi “L’incendiario” chiude l’album degnamente, in un lungo falò distruttivo, fra ballata e blues, e la voglia crescente di andare a sentire i Guignol dal vivo…