Hunternaut “Inhale”, recensione

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Una copertina Inquietante e per certi versi onirica. Oggi, come spesso accade voglio partire da qui, da una cover-art semplice, ma al contempo interessante, definita da aspetti narrativi e visionari che pongono le basi ad un pattern alternativo, in cui appare evidente una strutturazione di tipo grunge. Infatti, nonostante le premesse, la concettualità metal, anche dopo un attentivo ascolto, mi è parsa molto lontana dai canoni attesi.

L’album d’esordio dei bresciani Hunternaut si palesa attraverso otto tracce figlie degli anni ’90, mostrandosi incline ad accogliere modalità emozionali tipiche di album come Core e Black Gives Way to Blue. Da qui sembrano partire i quattro giovani musicisti, spinti da poca (ahimè) rabbia e troppa melanconica introspezione, che finisce per fagocitare gli intenti irosi che work art e info sheet sembravano promettere…
Anche se l’incipit sembra voler marchiare a fuoco intarsi e strutture sonore ad ampio respiro, portandoci verso un moderno hard sound (Oxidize), ci si ritrova presto tra le pieghe di una semplicizzazione delle strutture, attraverso riffing in battere che dominano il corpo della traccia, mostrando, sin da subito, una eccessiva pulizia e una eccedente semplicità.

Il buon impatto timbrico di Cristian Longhena, figlio legittimo della San Diego anni ’90, sembra comunque assestarsi attorno ad un mondo Creed, in cui l’old school guitar solo introduce una riuscita fase finale più corposa, che va a legarsi con l’intro di Inside me, classica ballad in cui climax e anticlimax vengono posti al centro di uno status quo narrativo, vicino agli stilismi di Scott Weiland.
Con Backbone il sapore Stone Temple Pilots torna all’interno di questo disco, così come con Soap Bubbles, senza dubbio considerabile una vera e propria punta di diamante, che meriterebbe altolocati passaggi radio. Ma il disco non diverge e prosegue tra riffing Motley Crue e buone intuizioni, così come accade con la titletrack, che va ad alterare una non troppo bilanciata dicotomia espressiva, definendo la traccia attraverso percorsi diversificati e cambi improvvisi, ben definiti dalla bass line ideale nel narrare un disco che matura nelle sue poche ruvidità.

Insomma, poco di eclatante ma, se non avessi visto negli Inhale qualcosa di interessante… non ne avrei neppure parlato. Date un ascolto e valutate da soli, uscendo dal banale mainstream, perché è tra le polveri di locali come Gasoline Road Bar e Orso Furioso che troverete la musica reale….non certo in tv.

Tracklist
01 Oxidize
02 Inside me
03 Backbone
04 Soap bubbles
05 Hundreds of scars
06 Inhale
07 Out there
08 I’ll be there