I fiori di Hiroshima “Nabuk”, recensione

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A guardare la cover art del nero extended played dei I Fiori di Hiroshima, la sensazione che va a pervadere il mio senso di attesa, sembra chiudersi in maniera claustrofobica in un universo surreale, in cui la postura di inquiete e statuarie mani si volgono verso il fulcro del proprio mondo, rappresentato in maniera metaforica da un pallido cerchio. Qui si trova l’anima della giovane band. Una cover art che richiama, volente o nolente, il lato dark dei primi anni ’80, quando (spesso) il bianco e il nero raccontavano storie e sensazioni ancor prima del disco stesso. Proprio da qui parte il quartetto pisano, spinto dall’urgenza narrativa di porre in evidenza l’oscurità umana, ponendo le proprie risorse su di un rock scarno e underground, da cui si palesano idee intercalate tra il mondo elecro-acustico e quello teatralizzato.

Il disco d’esordio, pubblicato da Phonarchia dischi con distribuzione Audioglobe / The Orchard e promosso da Funky Reverend Press, si presenta ad un attentivo ascolto come cinico e a tratti ossessivo, in grado di restituire una cornice espressiva piacevolmente attrattiva, nonostante una inevitabile perfettibilità.

Un semplice e puro riff apre le note di Nociva, struttura da cui sembrano uscire ricordi Marlene, posti su pareti sonore sezionate in linee spigolose e granulari, in cui il drumaset grezzo e ben impostato funge da pattern disorientante . Il suono basilarmente rock si adopera a convergere contro strutture d’oltreoceano, portando alla mente il mondo dei fine anni ‘70, sino a balzare di decenni con l’incipit cripto electro di Kovo , curiosa ma debole traccia, in cui emergono i peccati di gioventù della band, nonostante buoni riff di contorno. Infatti la vocalità di Elia Vitarelli, qui paralizzata dalla partitura, sembra disorientata dai campi direttivi, che trovano la quadratura del proprio cerchio con l’avvolgente Scan . Le reminiscenze passatiste partono da qui per portare l’ascoltatore verso un territorio diluito, pronto a riconciliarsi con l’energia iniziale.

A chiudere l’EP e infine Nabuk , senza dubbio il tracciato sonoro più interessante. Infatti, la titletrack,data a battesimo da una intro acoustic, porta alla mente i momenti delicati di Manuel Agnelli, maturando così verso un’estensione semplice e coinvolgente, in cui le overlay ondeggiano su di un riuscito pattern sonoro.

Proprio da qui (probabilmente) devono ripartire i giovani Fiori di Hiroshima.

Tracklist

1. Nociva
2. Kovo
3. Datemi Un Martello
4. Scan
5. Nabuk