I Ratti della sabina “…sotto il cielo del tendone”

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CRITICA E MOTIVAZIONE

Ahimè… questa volta, il disco della talentuosa folk rock band nostrana, ha tutte le credenziali per essere un disco inefficace e palesemente forzato. La mia congettura nasce inizialmente dalla condivisibile o meno credenza, che gli album live di per se appaiono un inutile surrogato di emozioni ineffabili. Questa mia presuntuosa convinzione, nasce proprio dall’inadeguatezza che un disco live possiede, se confrontato con la accaduta realtà.
Se con una fotografia si riesce a immortalare le emozioni della vita, difficilmente con la registrazione in presa diretta di un concerto, si riesce nell’intento di ingabbiare le emozioni, che si possono provare davanti ad un palco, tra luci e colori, tra brividi e sensazioni forti. Neppure Pearl, jam, Deep Purple o Queen sono mai riusciti ad andare oltre un succedaneo di emozioni, con le loro perle discografiche.

Cercando di andare oltre a questa mia concezione discografica, mi sono comunque ritrovato davanti a 19 brani, che, pur proponendo un sound vivace e coinvolgente, alla lunga finisce per tediare, come spesso accade a dischi troppo diluiti.

GLI INEDITI

“…sotto il cielo del tendone”, ha inizio con le note nuove de “Il mio tempo”, primo dei tre inediti, che con il suo ritmo folleggiante, cerca di dare una lettura serena del nostro tempo, attraverso il ricordo di un passato ormai tramontato. Un suono elettronico introduce “Accorda e canta”, probabilmente il migliore tra i brani mai pubblicati in precedenza, per il suo cantato perfettamente in linea con il sound elettro-folk, dagli sfondi post barocchi, che conquistano al primo ascolto. La triade di novità si chiude con “Ciao”, che con il suo sapore retrò porta la voce di Roberto Billi “ a calcolare la circonferenza” della sua vocalità.

IL LIVE

Con la track numero quattro si apre il tendone del Vilaggio Globale di Roma, torniamo indietro nel tempo e guardando il calendario ci ritroviamo al 24 marzo 2007. Si parte alla grande con “ La Rivoluzione”, molto Modena City Style, che tra il grintoso violino di Monzi e il “pestoduro” di Carlo Ferretti, riesce a partire con il giusto piglio, nonostante sin da subito non si riesce a percepire la felicità e l’emozione che i live dei Ratti riescono a donare ai propri spettatori. Le sensazioni risultano un poco sbiadite, come in “Radici”, in cui i plaudenti presenti appaiono una gioia affetta da trasparenza, per un ritmo in levare che di certo convince ma non entusiasma.

Il live probabilmente vuole essere una celebrazione all’habitat naturale della band rietina, o probabilmente vuole essere un omaggio al fedele e adorante pubblico, che per certi versi sembra ricordare i tanti “affetti da Nomadismo”. Un concerto che riesce a raccogliere piccoli classici come “Circobirò” e “La tarantella del serpente”, forse tra le poche canzoni capaci di ridare un minimo di luce alla partecipazione che pulsava quella sera romana, ma che non riesce a muovere realmente le genuine sensazioni che un disco di tal fattura dovrebbe ottenere.

CONCLUSIONE

Sono certo che questa recensione poco piacerà ai fans indefessi del gruppo, alla band e alla Ultimo Piano Records, ma con le poche parole a disposizione, spero di essere stato in grado di non annebbiare il talento dei Ratti, ma piuttosto puntare l’indice verso la scelta di un disco di hits live che arriva dopo soli tre dischi…forse una prematura decisione.