I ratti della sabina

ratti_passo_lento.jpg

L’amore per la musica , otto “Ratti” non più alle prime armi (“A passo lento” è il terzo full-lenght della band), molti concerti lasciati alle spalle e una valigia d’esperienza, sempre più voluminosa. Questi sono gli elementi compositivi de I ratti della sabina, band folk-rock proveniente da Rieti, che proprio dalla città laziale è partita per conquistare il pubblico di ogni dove, trasformandosi in nomadi viandanti della musica, proprio come il personaggio disegnato sulla cover, armato di fisarmonica, pronto ad affrontare la metropoli.. La gavetta, da un poco di tempo, ha iniziato a dare buoni frutti, grazie anche all’ottimo lavoro di promotion della endel/upr e PoP agency. La band, figlia del mondo MCR, presenta 14 tracce, infarcite con un suono rurale del folk, con la sua allegria e schiettezza, unita ad una particolare cura nei confronti della parte lirica.

Una musichetta circense ci introduce al sound di “La giostra”, brano che, come molti dell’album, viene costruito attorno musicalità inusuali, grazie all’utilizzo di strumenti come il darabouka, glockenspiel e congas. La prima track ha il merito di introdurre l’ascoltatore, senza troppi indugi, in quello che è il mondo della gruppo, che in questo intro ritrova nelle linee del cantato anche la bella voce di Mimmo Locasciulli, che a tratti ricorda severino dei Gang. L’ escursione continua con la poco convincente title track, in cui la vocalità di Roberto, viaggia tra un’ottava e l’atra, nell’inseguire la musicalità curata, ma non troppo efficace. Di ben altro tenore sono invece la dolce ballata “Non fa paura la notte” e “Fuori dal centro (fiori leggeri)”. La prima track, altro non è che una poetica lirica, elevata dall’incantevole voce di Raffaella Misiti, che, anche quando funge da back voice, dona al brano i sapori adeguati, attorno ad un suono che sfiora venature irish folk. “Fuori dal centro (fiori leggeri)”, inoltre, rimane sulla stessa lunghezza d’onda, con il suo sapore silvestriano nell’impostazione vocale. Brano disincantato che riesce ad emergere attraverso le parole del booklet, in cui i testi utilizzano un font esteticamente magnifico, ma piuttosto difficoltoso da decifrare.
Il disco prosegue attraverso un meltin pot sonoro tra rocksteady soffuso, folk, celtic, rock, pop ed etnic. Non manca il sabor sudamericano, palesato in “Chi arriva prima aspetta”, in cui la voce del frontman appare più sicura, riuscendo a mescolarsi abilmente ai coinvolgenti giri di basso.

Nell’ascoltare il terzo lavoro dei Ratti, appare chiaro l’intento di organizzare un sapiente alternarsi di brani sostenuti, come il rock di “La rivoluzione”, esplicito omaggio a Gianni Rodari, con brani pacati e riflessivi, come la metaforica “Come fossi neve” e la suadente “Il tempo che merita”, la quale, ancora una volta, rende giustizia alla capacità creativa di una band, che di certo può continuare a migliorarsi, ma senza sfigurare quelle basi ormai solide che hanno valso più di un sold out ai loro concerti.