Il Marchese “Carnivoro”, recensione

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Iniziando a parlare de Carnivoro ho un unico rammarico: quello di non poter recensire il disco se non nella sua versione promo. Un disco che posso solo immaginarmi elegante, in un packaging attento nel suo sguardo dalle tonalità di grigio.

Il disco, alquanto curato nella sua fase di armonizzazione, viene presentato graficamente da una cover art omaggio diretto a El buitre carnivoro di Francisco Goya. L’opera, incisa dal pittore spagnolo, racconta in un solo istante gli orrori della guerra attraverso il coraggio di pochi e la capacità razionale di scacciare i propri spettri.

Proprio in quel forcone villano, metafora di coraggio e al contempo di rude presa di posizione, si focalizza la nostra attenzione, attraverso condizioni legate alla musica espressiva e diretta de Il Marchese, power trio pronto ad affrontare il mercato con questo nuovo full lenght, rapido come i movimenti dell’uomo con la forca e pungente come la forca stessa.

Nove tracce che non ci narrano storie innovative, ma si prodigano a limare un rock intenso di stampo italiano, ispirato da una mescolanza di sonorità anni 90, da cui maturano stilemi alt-grunge e in modo particolare le sensazioni nostrane, che toccano il mondo dei primi Litfiba e per certi versi l’impostazione esecutiva dei Negrita. Ma a dire il vero sarebbe riduttivo focalizzare l’attenzione verso questo parallelismo sin troppo facile; infatti, Il marchese riesce nelle sue composizioni a sintonizzarsi su frequenze rock’n’blues, che intravedono lo spirito underground (L’attesa), mostrando suoni in grado di modularsi attorno all’introduzione di una chitarra acustica, affiancata dall’attento muoversi delle dita sul manico elettrico. Modus operandi che da un lato ci riporta alla mente la scuola toscana di di Sanporaz e Malfuk e dall’altro un buon groove in Tarm style.

I testi appaiono invece l’anello debole della band, la costruzione lirica sembra difatti essere ancora acerba nel suo atteggiamento lascivo verso una cura sonora ben assestata. Non sono le parole, ma le partiture ad attrarre l’attenzione, come dimostra l’iniziato blues sporco di 1in2@ ed il riff distorto di Chanel, in cui parole esplicite e la vocalità rabbiosa si assestano tra rock diretto e revisionismo stoner punk. Ottimo appare poi il cartavetrato impatto gersoniano (Vivi veloce), che fa respirare all’ascoltatore un’aria da primo disco, immediato e personale, da cui non si ergono compromessi edulcorati di terze parti. Se poi con Z149è la sessione ritmica a gestire i tempi alla perfezione, la convincente voce del frontman da il meglio in episodi quali Toilet e Luna Bar, in cui non mancano spazi stoner, né (ahimè) approcci ingenui della sezione ritmica.

Un disco dunque che trova davanti a sé un buon orizzonte compositivo, ma che ancora scricchiola sul lato del songwriting, concettualità artistica che meriterebbe una svolta, fatta di accenti ed elucubrazioni più attente.

TRACKLIST:
01. 1 In 2 @ Bombay
02. Toilet
03. Vivi Veloce
04. Luna Bar
05. La Soluzione
06. Pubblicità
07. Chanel
08. L’Attesa
09. Z 149