Jovanotti

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Il ragazzo fortunato è tornato dopo un salutare momento di tregua, durante il quale Lorenzo Cherubini è riuscito a scostarsi dalle cervellotiche e intellettualoidi liriche di “Quinto Mondo” e del tedioso “Capo Horn”. Pur lasciando una durata troppo diluita del disco, Jovanotti riesce a contenere il numero di tracks, evitando di “scagliare” arzigogolati bombardamenti lessicali, che negli ultimi tempi erano divenuti sin troppo artificiosi. L’ultima opera dell’ormai quarantenne, dedicata al ricordo dell’amico Tiziano Terzani, porta con se i germi del recente passato e i semi dell’atavico periodo iniziale del cantante. Infatti “Buon sangue”, non è tanto da considerarsi un capolinea, come alcuni danno ad intendere, ma forse più l’ennesimo crocevia del viaggio musicale, scelleratamente iniziato con “Jovanotti for president”.

L’ennesimo debutto del cantante ha inizio con il singolo “(Tanto)3”, che con il suo esasperato hip pop funky di borgata, finisce per esasperare l’ascolto; ma fortunatamente il detto “chi ben comincia è a metà dell’opera..” ha il dono della relatività ed ecco che, come quando sulle montagne russe si viene sbalzati da un lato all’altro del mondo, ci si ritrova sulle note di una delle più belle canzoni del Lorenzo degli ultimi tempi: “Mi fido di te”. In questo brano l’autore mostra il desiderio di vivere la vita con gioia, senza la paura che si mostra sotto sembianze minacciose, riuscendo così a razionalizzare la “voglia di stare collegato, di vivere d’un fiato, di stendermi sopra il burrone e di guardare giù, la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare…” . Un dolce riff che accompagna una voce sicura e matura, avvolta in un suono molto vicino all’elettro-alternative di Moby. Ad alcuni il parallelismo apparirà bislacco e forse blasfemo, ma la forzatura nasce dal fatto che Cherubini ottiene con questo suo secondo nuovo singolo, ciò che gli mancava dagli anni di “Lorenzo 1994”.

L’album sciorina alti e bassi, noia e brividi, mostrando sprazzi di stanchezza compositiva da un lato, e vitalità rinnovatrice dall’altro. Il lato buono della medaglia è di certo rappresentata da canzoni come “Un buco nella tasca” e “Penelope”. La prima track mostra un arrangiamento ideale, con i suoi suoni ed i suoi cambiamenti di direzione, voluti da un Lorenzo sdoppiato su due linee di canto dalle diverse tonalità. “Penelope” è invece il classico pezzo di Jovanotti, ben cadenzato dal giro di basso dell’onnipresente Saturnino, partecipe assieme a nuovi membri della band, che hanno mostrato di complementarsi discretamente alla voglia e alla necessità di rinnovamento.

Tra i brani ben riusciti annoveriamo anche “Per me”, capace di ricreare un suono felliniano mescolato ad un anima rap, sampler, archi (diretti da Celso Valli) e una riuscita sinteticità drum’n’bass, che per la sua aria, sembra strizzare l’occhio ai francesismi di Yann Thirsen. Al lato buono delle cose si aggiunge la bella “La valigia”, che propone uno spensierato ritmo caraibico ( e diciamoci la verità…è proprio in questi brani che Lorenzo riesce al meglio..) che narra una storia semplice ed efficace, di una vita che ancora lo riesce a sorprendere, tra le gioie e i dolori della quotidianità.

Arrivando ahimè al lato “bacato” del disco, è innagabile e sarebbe altrimenti ipocrita e buonista, il non considerare quei brani che tirano al ribasso “Buon sangue”, per la loro scarsa verve compositiva e per la banalità propinata. Tra le pietre di questo scandalo, oltre al singolo già citato, ritroviamo “Falla girare” e “Mani in alto”. Le motivazioni sono distinte e ben ponderate, ma non per questo verità assolute; il caso di “Falla girare” appare come un passo indietro , con il suo sapore di deja-vu, sia dal punto di vista musicale, sia a livello lirico, poichè non riesce né ad essere zappamente bizzarre, né tanto meno contenutistica. “Mani in alto” ha invece, da un lato il merito di scratchare sulla modalità di quei Public Enemy, più volte citati da Jovanotti, sfiorando un sound noise prima e funky dopo, ma perdendosi in una straziante banalità canora, ma d’altra parte la perfezione non fa parte di questo nostro mondo.