Kramers “Warum Warum ist die banane krumm?”, recensione

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Per pochi istanti ho creduto, fuorviato da titolo, di essere di fronte ad un teutonico e bislacco prodotto kraut rock…ed invece il quintetto che porta il nome Kramers è tutto italiano, fatto di briciole derivanti da En Roco, Cartavetro, Cut of Mica, Still Leven e Tunecash. Arrivano dalla Genova che vive di Milk, Belleville e Claque, rafforzati da una distribuzione audioglobe, una promozione Unomundo e un booking & management A Giant Leap, agenzia attiva nel music business da più di 20 anni.

I Kramers, in uscita il 16 marzo 2012, arrivano così tra cookies e restyling line up, al loro debutto, che sopraggiunge a pochi metri dall’extended played Songs for every morning, inerpicandosi verso una salita di un meltinpot sonoro che lambisce jazz, pop, rock ed elettronica. Il risultato terminale di questa ricetta sonora sorprende solo a metà, nonostante il buon approccio che il gruppo sembra aver concretizzato attorno ad un progetto curato e per certi versi lontano dalla convenzionalità. Esempio d’approccio inusuale è la work art in digipack in cui front e back giocano a scambiarsi di ruolo sotto un monicker che con i suoi deliziosi dettagli richiama immediatamente un mondo musicale curioso, ironico e a tratti coraggioso.

Ad aprire il primo lato di un disco “Giano”è The day i walked down the street che, con il suo un tappeto monocorde di suoni inusuali, si appoggia sulla vocalità di Giulia Kramer, da cui chitarra e sezione ritmica partono per il concretizzarsi di un groove interessante e popular. La traccia, similmente a molti passaggi presenti nel platter, non prosegue il suo percorso in maniera lineare, come dimostra il bridge che distanzia le due strofe ospitando prog e suoni alquanto particolari.

Molti sembrano gli influssi che traspirano dalle partiture, l’ultimo Billy Joel, Morcheeba e Bjork appaiono come i primi No Doubt, implicitamente citati dalla divertente e divertita Girl who came from nowere, in cui la spensieratezza armonica e l’arrangiamento interessante anticipa Hamburger vs Kebab, in cui la voce della frontgirl trova il suo habitat naturale tra Post Punk rotteriano e minimalismo compositivo. Anche se poi alcuni stralci vocali sono penalizzati da chorus fuori linea ,ben funzionale appare il prog e l’anima altronica che deborda e naufraga nel trittico finale La dance 123456789 e It’s time to close your eyes, brani da cui emerge un facile approccio electro che fagocita l’ascoltatore senza però travolgerlo.

Insomma un disco che propone una sorta di schizzofrenica separazione dell’Io, da cui emergono due personalità vicine ma divergenti, pronte a navigare verso onde lontane, ancora però senza bussola. Proprio questo sembra il limite del disco, in quanto non riesce a definirsi, ma si limita a disorientare in maniera forzata l’ascoltatore tra i due lati di un disco piacevole, ma forse ancora immaturo.