Li Calzi Giorgio “Organum”, recensione

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L’Organum è una tecnica di canto sviluppata attorno al 900, considerata una forma primitiva di musica polifonica.

Il concetto di polifonia intesa come combinazione tra due elementi indipendenti, capaci di evolvere simultaneamente in itinere, rappresenta una definizione adeguata a questo nuovo full lenght del trombettista piemontese. Infatti questo nuovo Organum rappresenta metaforicamente la complessità strutturale di partiture tutt’altro che monogamiche, adatte a sviluppi diversificati e alle molte sfaccettature, rappresentate al meglio dal cartonato contenente una curata photo artwork di ottimo impatto. Come sulla cover, anche all’interno del disco, ritroviamo un unico viso, ma poliedriche facce del figlio musicalmente legittimo di Enrico Rava, tra ardite partecipazioni e collaborazioni attente e studiate.

Il disco spinge, per volere del suo creatore, su quel lato destro del nostro encefalo, arrivando a ricreare artistiche sinapsi musicali atte a ricreare una compartecipazione tra elettronica, musica alternativa e jazz, senza dimenticare di aprire le finestre verso un Ego artistico ai confini.

Ad introdurre il countdown iniziatico è la voce della piccola Anita, che ha l’onere di tenere a battesimo Organum, all’interno di un Sampled sound di Scott Gibbons, da cui fuoriesce Orinonauta, traccia che definisce un inizio di viaggio privato di gravità, ma libero di veicolare, come le note della tromba, sempre (e non potrebbe essere altrimenti) protagonista delle 11 tracce.
Esiste nell’ultima opera di Li Calzi una sorta di ordine d’idee elitario e accessibile solo a chi si dimostra pronto ad un ascolto attentivo, in maniera da andare oltre alla splendida e indirettamente Kubrickiana Eyes wide Open, da cui emerge la versatilità musicale di Roberto Cecchetto e la magnificenza vocale di Hayley Alker che ritorna poi in Exist.

La musica di Li Calzi appare fluida e trainante, tanto da trasportare dentro di sé, non solo il nuvolare movimento dei fiati, ma anche i sentori post rock lenti e riflessivi di Blue Light e l’indie jazz di Poesia in forma di prosa, che potrebbe piacere alla Sofia Coppola d’esordio. Una timbrica piacevole e un attenta regolazione dei toni porta poi ad un oscura aria psichedelica capace di far incontrare minimalismo elettronico e classicismo in The truth of a chinese whisper, in cui la guest vocal Thomas Leer ci porta alle menti i primordi new wave britannico.

Questo viatico tra ieri e domani ritorna in 24h psychosis, che, tra accordi apparentemente semplificati, ospita arpeggi chitarristici e note di tromba vestite da suite, in cui le note arrivano sulla partitura come piccole gocce di rugiada, al servizio di un post rock caldo e lineare. Non mancano poi apici compositivi come Homo Zentropicus, in cui Xabier Iriondo si sarebbe ritrovato alla perfezione. Il brano unisce jazz liberamente interpretato a processi elettronici soft noise, definiti attorno ad una serie di silenti spazi, al servizio dei sei minuti di riprese sonore, tanto genuine quanto libere da usuali canoni, proprio come le riprese filmiche di Lars Von Trier, a cui è dedicata la track.

Insomma un disco nobile che cerca di mitigare l’elitaria aria jazz attraverso trovate musicali fuori da ogni rigida regola d’esecuzione, ricreando così un prodotto da ascoltare e godere con le palpebre chiuse in meditazione.