Mark Knopfler – Get lucky

Mark Knopfler - Get lucky

Non c’è alcun dubbio: Mark Knopfler non ha bisogno di alcuna presentazione.

Tuttavia, non siamo altrettanto certi che tutti i fan dei Dire Straits conoscano il percorso solista di questo chitarrista anglo/scozzese dal suono ormai riconoscibile anche ai meno esperti (come lui ci vengono in mente solo The Edge degli U2, Santana, Eric Clapton e pochi altri).

Il suo viaggio è iniziato con quel Golden Heart che nel 1996 rappresentò un vero e proprio breakthrough album. Era un disco che profumava di Luisiana e di country, con national steel guitar sparse un po’ ovunque, ed era pieno di belle canzoni fra le quali spiccava su tutte Darling Pretty.
Da quel disco in poi si sono succeduti con cadenza da orologio svizzero (praticamente ogni 2 anni) ben 4 album con esiti non sempre degni di nota.

Certamente positivi Sailing to Phildelphia (2000) col duetto da sogno con James Taylor e Shangri-la (2004). Assai meno brillanti Ragpicker’s dream (2002), fatta eccezione per quel capolavoro che resta “A place where we used to live” e l’ultimo Kill to get crimson (2007), forse il più incolore di tutti.

Vista l’alternanza delle “prestazioni” (non dimentichiamo anche il bell’episodio del 2006, All the roadrunning, con la mitica Emmylou Harris), questa volta c’era da aspettarsi un buon disco e possiamo dire sin d’ora che a nostro avviso Get Lucky porta un titolo che risulterà profetico per le sue sorti, non solo commerciali.

Il disco parte un po’ in sordina con Border Reiver, che inizia rievocando la colonna sonora di Braveheart , per poi trasformarsi quasi in un traditional uptempo scozzese. Il testo, a detta dello stesso Knopfler nelle note del libretto, trova la fonte di ispirazione dal suo desiderio adolescenziale di diventare membro di una rock band ed è strettamente legata, nei temi, a Southbound again (che vide la luce proprio agli esordi, nel celebre album omonimo degli Straits).
La seconda traccia Hard Shoulder cambia completamente paesaggio. Chi conosce Cole Corner di Richard Hawley potrà ritrovarvi sonorità al limite del plagio. Ballata romantica di altri tempi, orchestrale ed intensa, che rappresenta una piacevole novità.
Segue, per i soli amanti del genere, il blues di You can’t beat the house giusto prima di entrare nel vivo dell’album con la più nostalgica Before Gas and TV; canzone dall’andamento forse un po’ stanco, ma nel quale ritroviamo il suono sempre piacevole della Stratocaster che lo ha reso famoso, con l’aggiunta di cornamuse sullo sfondo.
La prima perla di Get Lucky arriva con Monteleone quando insieme a piano ed orchestra il cuore è trasportato da un una melodiosa chitarra acustica. Scelta, quest’ultima, non certo casuale, visto che la canzone è dedicata proprio a questo strumento, e l’insieme di musica è parole è così efficace che ascoltandola sembra di vedere il falegname che la costruisce respirando l’odore dei trucioli di legno appena tagliati.
Cleaning my gun è la canzone più in stile rock del cd, ed ai più ricorderà un po’ i Dire Straits: basterebbe un sax sullo sfondo e la macchina del tempo, che a volte solo la musica sa mettere in moto, ci porterebbe dritto a quegli anni mitici.
Car was the one e Remembrance day sono altre due canzoni di ottima fattura. L’ultima potrà forse sembrare meno efficace per quel coro finale di donne e bambini; ma dai loro nomi riportati nei credits si intuisce (sono quasi tutti parenti dei membri della band e altri collaboratori di studio) lo spirito di famiglia che deve aver regnato nello studio di registrazione. E siamo convinti che quando lo spirito di chi suona passa nella sua musica è sempre un buon segno.

Con la semplice e dolce Get Lucky siamo all’ormai immancabile pezzo da 10 e lode (non c’è un solo cd in cui non ve ne sia almeno uno!). Storia di un uomo che racconta della speranza di un uomo semplice, che vive del sudore della sua fronte, di superare le difficoltà quotidiane del pane da comprare e dell’affitto da pagare con una vincita risolutrice di ogni problema. Se il testo l’avessero scritto il Boss o Dylan non ne saremmo rimasti affatto sorpresi.

Gran finale: prima con So far from the Clyde, una ballatona ellettro/acustica arricchita da piacevoli fiati tradizionali scozzesi (flute horns), che è forse la summa dell’intero disco, ed in ultimo Piper to the end, dedicata allo zio di Knopfler, Freddie, suonatore di cornamuse (che qui non potevano certo mancare) dell’esercito scozzese ed ucciso in battaglia nella seconda guerra mondiale.

Un’ultima chiosa sulla splendida copertina: con le sue luci di insegne un po’ vintage ci catapulta nell’atmosfera di altri tempi di un album che ci invita tutti un po’ a sognare… senza tradire le attese.

Voto: 8