Metamorfosi “Chrysalis”, recensione

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Metamorfosi come mutamento inteso, come trasformazione in altra natura.

Archi, strumenti inusuali e coraggio. Ecco a voi i Metamorfosi (Sarah D’Arienzo , Tyron D’Arienzo e Gianluca Manfredonia), trio eclettico in grado di raccogliere mood e melodie per porle in sincrasia con una ricerca di sonorità inusuali.

Nata da poco più di un lustro, la band, posta sotto l’ala protettiva della Mauna Loa, torna con una seconda opera complessa, composta da dettagli curati e ben bilanciati, definiti dalle delicate tinte acquerellate, ideali per modellare una struttura emotiva priva di contorni spigolosi. Il disco, per la prima volta affacciato sull’anglofonia, appare in grado di arrivare a destinazione solo dopo un attentivo ed esclusivo confronto con gli astanti, i quali dovranno per ovvietà di cose mantenere la linea per arrivare a percepire i cromatismi variegati di questa nascente crisalide.

Il disco si apre lieve con un avvolgente e diluito suono, adeguato nel voler ricostruire un pattern ambientale accogliente, per ospitare la vocalità di Sarah D’Arienzo. Espressività sognante si rinvigorisce attraverso i ricamati intrecci vocali, pronti ad evolvere verso un’implosione diretta e naturale che racconta, con i suoi cambi direttivi, note che trovano nel mondo di Gilmour un’influenza estetica.

I suoni acuti della voce aprono poi a visuali inconsuete, definite da impostazioni coraggiose e solo a tratti deja ecù, proprio come dimostra la titletrack. Da qui si parte verso sviluppi pseudo acustici in cui il fulcro espressivo della band sembra volersi abbracciare a giochi sonori elitari e arditi, nonostante una forte attrazione verso la contaminazione essenziale. Un sentiero ondulato, posto sopra a striature pop rock, indie e velatamente jazz, in cui non mancano rugiade sonore che conducono verso il “mantenimento del dolore”, superba traccia in cui l’inattesa la voce mascolina riesce a donare profondità, ponendo uno sguardo sul mondo alternativo.

Sul medesimo terreno espressivo ritroviamo anche Packed smiles, delicata composizione in grado di definire una stasi osservativa e melanconica, atto anticipatorio dell’inversione sonora schiusa con Light, luce dal sapore retrò, pronta ad illuminare il buon finale (The moon is kiddin’me), specchio stilistico di questo eclettico trio, che sembra trovare il lato migliore nelle estensioni musicali meno easy.

Dunque…un riuscito incrocio stilistico, alimentato da corruzioni viscerali che da un lato sembrano metaforizzare la “metamorfosi” stilistica, dall’altro pongono l’accento sull’ottima opera di cover art, in cui l’astrattismo pittorico richiama la delicatezza di una crisalide, strutturalmente similare a quell’elica che sta alla base del nostro Io.