Northway “Small thing, true love”, recensione

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Chiudete gli occhi e chiudete i vostri pensieri in un mondo lontano, glaciale, ma al contempo caldo ed accogliente. Un mondo disgiunto dalla velocità e dall’iper-realtà, posto ai confini di un universo estraniante, luogo ideale per gli avvolgenti suoni post-rock dei Northway, quartetto Bergamasco autore di uno tra i migliori self-published album di questo primo scampolo del 2017.

Infatti sin dall’incipit di Arrival, nonostante una produzione a tratti lo-fi, l’ensemble giunge con naturalezza a richiami Godspeed You Black Emperor e God is an astronaut, anche per merito di un uso impeccabile delle sei corde, in reale armonia con una sezione ritmica che non disdegna le incursioni granulari e battenti di The king. La traccia evocativa e piacevolmente narrativa racconta un’ambientazione dagli antichi rimandi, che celano reminiscenze Explosion in the sky attraverso un inatteso riverbero calmierante, in cui ci si perde per poi rinascere lungo un viaggio immaginifico (The Martian) e citazionistico (Jules Verne) che mostra, però, il proprio lato debole e perfettibile, immediatamente riassestato dalla lunga suite finale Small things.

Proprio l’ultima cima su cui ergersi va a ridefinire gli intenti espressivi di una band abile nello stabilire equilibri narrativi in cui inoltrarsi. Un album sognante, la cui magia emozionale va a sostituirsi ad uno storytelling qui superfluo e non certo complementare.

Insomma, se amate perdervi nelle lande innevate e desertiche del post-rock, oggi avete di fronte una nuova vetta da scalare.

Tracklist
1. Arrival
2. The King
3. The Martian
4. Jules Verne
5. Small things