Nrec “Signals”, recensione

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Potrei essere banale nel definire Nrec eclettico e talentuoso artista, ma a ben ascoltare le sfumature di questo nuovo capitolo artistico dell’autore marchigiano, sento di non dovermi pentire della banale introduzione.
L’album, licenziato da Musica Cruda, arriva a noi mediante effluvi ponderati e sensazioni magiche, in grado di dar voce a idee (ambiziose) e sensazioni visionarie.

Nrec, all’anagrafe Enrico Tiberi, apre il suo progetto attraverso una sincrasi ragionata tra metodico andamento sintetico e cripto pop di stampo retrò, in cui la metodologia ridondante finisce per limitare i battiti ossessivi del proprio ego. Un approccio sonico ai confini del trip hop, da cui riparte per poi virare verso Eyedressed. La traccia di Daniele Strappato viene narrata da Claudio Migliazzo dei Iori’s Eyes, immerso in un’aurea Portished, qui ridisegnata da filtri sporchi, che si dilatano su espressioni oscure, ma al contempo avvolgenti.
I segnali emotivi, carichi di sensazioni descrittive, si abbracciano per poi alimentare rimandi filmici (Videodrome) e ispirazioni riuscite (Signals), arricchendosi di sampler e movimenti sintetici, donando accenti d’ascolto, modulati in maniera incredibilmente convincente tra dance, industrial and new wave.

Gli istinti aggressivi giungono poi a calmierarsi mediante ricette sonore ( Steel) in grado di restituire sin dal primo ascolto nuovi risvolti espressivi, inattesi quanto le note di FinoInFondo traccia, tra le migliori del disco, abile nel riuscire a convogliare istinti industrial noise verso un caleidoscopio sonoro, deliziosamente angusto ed inquieto. Una docile paranoia descritta dalle note spigolose che volgono verso la voce di Kendra Black, magica protagonista di It’s mine. La composizione apre la straordinaria vocalità della musicista newyorkese, mostrando stralci eightees, bilanciati e rimescolati con attenzione all’anthem di Emina/Utica, morbida espressione visionaria di un vortice inquieto.

A chiudere il movimento eclettico del full leght è infine il profondo scavare di Dig Deeper, in cui Nigliazzo, Strappato e Tiberi si ritrovano assieme a Fabrizio Testa in una composizione in cui i tasti bianconeri aprono ad una sensazione lontana, in grado di destabilizzare l’ascolto più che mai privo di evidenti punti di concreto appiglio.