Petula Clarck “Instinction”, recensione

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Attenzione!!! Non stiamo per parlare di Petula Clark…ma di Petula Clarck. Non parleremo del caschetto biondo o dei 70milioni di dischi venduti attraverso la finestra inglese del pop..ma andremo a parlare di un’arte definita spontaneousness and fulgurance.
Protagoniste di queste poche righe saranno infatti sensazioni disincantate, tracciate su composizioni istintive ed emozionali, che travolgono nella loro brevità come frecce avvelenate. Un mondo vintage legato al passatismo modaiolo che ridefinisce i parametri del retrò, reinventandoli sotto un aurea musicale alternative ed impattante.

Instinction è infatti un figlio legittimo della velocità sociale a cui siamo abituati, in quanto arriva a citare il rapido consumismo a cui il nostro spirito è assuefatto, ma, al contrario di ciò che cerca di raccontare, il full lenght è da gustare con attenzione e posatezza, unica maniera per gradirne appieno ogni sfumatura.

Non c’è cervellotica intenzione di esasperare le note narrate, ma il semplice intento di coinvolgere l’ascoltatore, travolgendo con un moderato vigore che non pone altra scelta se non quella di rimanere ben ancorato a quel fil rouge che attraversa i vari capitoli.

A tracciare questa invisibile ma al contempo concreta linea rossa, sono due folli e geniali belgi che, violentando le proprie partiture, offrono un disco di cui ci si può innamorare, a patto di uscire dalle scontate e ridondati attese. In Instinction troverete paranoie senza bussola, animate da improvvisi e accecanti intenti, legate tra loro come in un unico brano, le cui schegge feriscono in profondità. L’errore che si può fare imboccando la strada del power-duo è quello di analizzare singolarmente le tracce, evitando di valutare un discorso di insieme senza il quale l’analisi ricadrebbe in un grossolano malinteso. Lungi da me propinare una forzata apologia all’arte dei Petula Clarck…dunque attaccate le casse e fatevi trasportare dalla imprudenza compositiva.

La bocca del packman villoso si apre con il minuto abbondante dell’introduttiva Escape From Ghouls’N’Ghosts, che sin dal principio ci riporta allo style delle Scimmie, privandosi però di quel cinico nichilismo narrativo della band italica, a favore di una giocosa dimensione strutturale, legata a spazi levigati e pesanti, tra falsi finali ( Sulfate) e fagocitanti riff (Dedein). Le sonorità vintage giocano spesso tra spaziature diluite, capaci di risalire sulle scale dettate dalla distorsione, tra giochi vocali sincopati ed isterici e gustosi rimandi trasversali. I brani scorrono via veloci tra il delirio controllato di Rate e le basse note di Die Petula Die!!!, annoverabile tra gli episodi più convincenti, tra cori da premier e giochi vocali alla Kiedies prima maniera. Il buon lavoro alle pelli ci conduce poi a Pylone, speziato di aria surfer e Chacal che si pone nel mezzo del cammino con la sua ragionata pausa acustica, tra oscurità e sinteticità. Echi e vibrazioni ci trascinano poi dentro a Baffff, grezza ed esplosiva e ad il minimalismo ruvido di Yazoulk, che ci fa tornare alle battute iniziali del disco, prima di chiudere con la metaforica Attila, inno di conclusione per un disco forse troppo criticato.

Tracklist:

1. Escape From Ghouls’N’Ghosts
2. Sulfate
3. Dededin
4. Ballerine
5. Rate
6. Die Petula Die!!!
7. Pylone
8. Chacal
9. Baffff
10. Yazoulk
11. Sors De Ce Corps
12. DaltonTerror Cops
13. Yeah
14. Attila