Rage of south” I see, I say, I hear”, recensione

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A quanto ci raccontano i Rage of South, attraverso la loro cover art, l’evoluzione si è fermata ad osservare la rabbia sociale che la nostra quotidianità fa trapelare mediante i suoi differenziati cromatismi. Proprio di questo sembra voler parlare I see, I say, I hear, titolo da cui emerge la consapevolezza di una necessità osservativa e critica di un mondo in balia di forze centripete. Storie di vita cripto-reale che la band girgentana definisce attorno ad 11 tracce nate dall’intensa attività live, che ha (finalmente) portato le note crossover ad incastonarsi tra i solchi di questo interessante debut.

Il disco, fortemente influenzato dalle sonorità nu metal degli metà anni ‘90, è interamente auto-prodotto e porta la firma della Red Cat Records, spesso abile nel riconoscere appropriati germi di definite idee musicali, qui rafforzate da tecnica e volitività. Un opera che a tratti sorprende attraverso vocalità ben definite e groove d’impatto, proprio come dimostra Reflection, in cui il suono di una sirena ci invita ad agganciarci ad un granuloso riff, la cui esplosione emotiva appare pronta a riportare l’attenzione verso un ottimo rallentamento sonoro, atto anticipatorio di un tracciato tirato ed elettrificato.

Le liriche, costruite attorno a tempistiche saggiamente bilanciate, si arricchiscono di stop and go funzionali, proprio come accade in Sheep, in cui la voce si pulisce dalle scorie, ridefinendosi attorno a distorsioni proto industrial, che si fanno easy con Stay Down, (ahimè) non troppo convincente nel suo incrocio di voci.
La giusta via è però ripresa con That fear about me che, per certi versi, sembra avvicinarsi alla paura del pianeta oscuro, qui stilizzata dalla preponderante concezione nu metal, pronta a ricadere nella “seconda repubblica”slipknotiana. Proprio dall ‘Iowa la band sembra saccheggiare gli istinti interposti in Let me die e il preparatorio Intro, perfetto compendio sonoro della band. Infatti, proprio dall’atto introduttivo, che tanto mi ricorda l’approccio espressivo di JesusHitler dei Carnivore, si ergono spezie Jim Root oltre ad interessanti rimandi vocali a Phil Anselmo.

Insomma, un disco piacevole ed avvolgente che, tra (eccellenti) alti e (fisiologici) bassi, dimostra come tecnica e capacità suppliscano a sbavature ed inesperienza.

01. Intro
02. Sheep
03.Silence
04. Prayer
05. Stay Down
06. That Fear About Me
07. Reflection
08. That Falling Down
09. Theme Of Juliet
10. Let Me Die
11. Approved