Resurrecturis “Nazienda”, recensione

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Un disco “Per coloro che risorgeranno”? No un disco per tutti coloro che, nel qui ed ora, sentono di essere pronti al mondo nuovo dei Resurrecturis, storica band del metal nostrano. Nati all’alba dell’age d’or del death metal, arrivano a noi con il destabilizzante Nazienda, nuova espressione della propria arte, rivista alla luce di suoni contemporanei che, solo in parte, lambiscono gli antichi fasti di Nocturnal.

La band fondata ben 25 anni addietro da Carlo Strappa, torna armata di idee, dopo poco più di un lustro, pronta raccontare l’alienazione sociale di un mondo metodico e fagocitante, in grado di destrutturare ogni cosa. Un’agosciante viaggio nell’usuale esistenza, in cui il lavoro talvolta appare prigione grigia ed occludente, priva di aria con cui respirare. Un viaggio che ricalca se stesso, in ogni giorno d’ordinaria ridondanza.
Posto tra celata ironia e cinismo, il titolo del nuovo full lenght appare, con la sua arte sincrasica (nazismo/azienda), pronto a definire gli essenziali contorni di un sentiero scandito dagli orari curiosamente indicati come una sorta di alpha privativo davanti alle singole tracce. Infatti, come in una sorta di clessidra complessa, la narrazione scivola sul tempo che scorre sempre uguale a se stesso, deprivando l’ascoltatore di un reale senso del spazio.

Il disco, racchiuso in un elegante digipack, sin dalla cover art richiama proprio l’immagine aziendalista di chi, affetto da immobilismo strutturale, raccoglie il suo metodico lavoro. La postura del colletto bianco in copertina appare aperta a diversificate interpretazioni, a differenza di inlay e back, in cui il candido bianco viene sostituito da un’orrorifica rappresentazione di ciò che spesso si nasconde dietro le apparenze. Una deformazione espressiva e per certi versi visionaria, che torna tra le pagine dell’ottimo booklet in cui i pennelli di Daniele Cudini si pone in contrasto stilistico con l’espressività tecnocratica della svastica comunista ideata da Yan Sek.

Il disco si apre in maniera inattesa con la sognate aurea retrò di Sleeping with your hair spread over my chest, in cui la lead guitar di Stefano Tinti si unisce ad un approccio cripto grunge, da cui escono back voice destabilizzanti e spezie calmieranti, funzionali alla narrazione, ma non troppo all’impatto sonoro. A stabilizzare le attese interviene, però, l’inquieta The allarm, oscuro e breve tracciato in cui la violenza liberatoria esplode verso impronte rabbiose e folli, che a tratti ricordano la maestria vocale di Corey Taylor. Ma non è utile soffermarci troppo sulle ripide pendenze delle partiture, il tempo scorre e ci si deve dirigere verso l’inscatolamento lavorativo tra armonie easy, sampler ed intuizioni non troppo discoste all’industral nu metal.

Sono le otto passate da un minuto e il tempo si sofferma su note ridondanti che offrono spazio alla straordinaria vocalità di Enrico Tiberi, abile nel gestire la discrepanza strutturale di una doppia vocalità, che, senza dubbio, trova il proprio apice espressivo nei momenti in cui impronte thecno-noise si allontanano dai banalismi armonici per incanalarsi nella rabbia reale. Gli interessanti stop and go si riversano poi nei più facili passaggi di Animals in the meeting room, fortunatamente deprivati di animosità lineare per dare spazio a controllati estremismi stilistici, qui dettati dal pseudo blast beat di Angelo de Santi.

Il disco, folle ed arguto si inoltra poi tra l’alienazione (Lunch-break Alienation) e l’animosità punk-hard(moderate)core (Never Happy) per giungere poi alla depressione osservativa dei tasti bianco neri di The thought that someting webt wrong with my life, spoken word narrativo, lineare e rappresentativo di un mondo chiuso e incastrato in un andamento soffocante. A chiudere in mondo di Nazienda sono infine l’urlante vena espressiva di Two half lives don’t make one e Falling aslepp on the couch, in cui la viola di Luca Favoni acuisce, se ancora ce ne fosse necessità, il nereggiante spirito che chiude una giornata uguale al nostro ieri…(All is throught for today…there is nothing more of you)

A complementare il disco ( che a mio modo di vedere raggiunge la sua massima espressività nel suo formato fisico) è complementato da una graphic novel, in cui l’impossibilità apparente di una salvifica via di uscita sembra richiamare alcuni passaggi espressivi di Gipi. Il racconto disegnato da Albano Scevola, racconta il mondo di Nazienda mediante tagli temporali, stilizzazioni spigolose e richiami stilistici al collage, celato in una mistura di tecniche che rendono ancor più surreale il reale narrato. La storia, visualizzata come in una sorta di fotoromanzo vintage, delinea un curioso intreccio tra surrealismo e visività distorta, acuita da linee dure e talvolta prive di confini, proprio come l’eterno e incatenante ritorno di questo concept album.