Robbie Williams – Reality killed the video stars

Cd cover

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Quando Robbie Williams lasciò i Take That, che a stretto giro di posta decisero di sciogliersi, la maggior parte degli esperti musicali piazzò la propria puntata sul cavallo di razza Gary Barlow – non solo cantante ma anche autore dei più importanti successi della band – mentre evitò ogni scommessa su Robbie, all’epoca solo un puledro scalciante, relegandolo al massimo al ruolo di futura meteora (della serie: “farà un primo album ipercommerciale e poi via…nel dimenticatoio”).

La storia la conosciamo tutti: mai giudizio fu più affrettato su entrambi i fronti: il “povero” Barlow, dopo appena due album solisti (il primo tutto sommato buono, ma il secondo un vero flop) era già fuori dai giochi, tanto che per ritrovare la via del successo si è visto costretto a riesumare la vecchia band.
Da par suo, invece, Robbie Williams ha continuato a correre, non limitandosi a qualche piazzamento qua e là, ma lasciando spesso il vuoto fra sé e i concorrenti nella c.d. categoria POP. Con Michael Jackson preoccupato più ai suoi problemi giudiziari che a produrre musica e George Michael ormai deciso a centellinare i propri album nel corso del tempo, lo scettro reale (ancorché part-time) lo ha più che dignitosamente mantenuto lui. Certo la sua vita privata, piena di eccessi, ha contribuito a renderlo un personaggio interessante anche per i media, tuttavia siamo altrettanto convinti che senza talento non si possa costruire una carriera di successo, e questo artista di talento ne ha da vendere.

Il nuovo Reality killed the video star (titolo scelto in onore dello storico produttore dell’album Trevorn Horn, che lanciò la hit Video killed the radio stars) non solo conferma l’estro notevole di Williams, ma supera ogni aspettativa, sfoderando una serie impressionante di potenziali hit. Ci siamo sforzati di trovare almeno una canzone da scartare, o magari insignificante (eufemisticamente le chiamano filler), ma sinceramente non ne abbiamo proprio trovate.

Scorrendo insieme i pezzi, si comincia subito alla grande con l’intensa Morning Sun, che ci sembra abbia tutte le carte in regola per giocarsi – nei futuri concerti (per ora non se ne parla ancora) – il podio di ballad # 1 con canzoni del calibro di She’s the one o Eternity.

Il ritmo accelera con Bodies, singolo dal refrain maledettamente radiofonico che ti acchiappa e non ti molla più, ma dal testo con riferimenti religiosi un po’ vaghi (quale sia il senso generale…sinceramente ci sfugge).

Con You know esce fuori il lato ironico e da entertainer di Robbie (chi non ha ancora visto il video gli dia un’occhiata e capirà di cosa stiamo parlando), così come in Blasphemy riemerge, al contrario, la sua malinconia in una dolce melodia – su uno sfondo piano/orchestra – che tornerà piacevole risentire nelle prossime feste di Natale.

Non si prende il fiato…e così la splendida carrellata scorre inesorabile….Do you mind? suona grintosa e accattivante, con chitarre elettriche decise, ma sempre ben dosate, a fare da cornice, mentre Last days of disco, e (un po’ più in là) Difficult for weirdos passano come “figlie di un Dio maggiore” dello sfortunato album Rude box, con l’unica differenza che sembrano prodotte rispettivamente dai novelli Art of noise e dai nipoti degli Human League. Roba da leccarsi i baffi insomma.

Chi cerca una melodia che tende all’epico, sarà accontentato con Superblind mentre chi si è rassegnato pensando che le super pop song appartengano al passato, si perderà in Starstruck (che a dire il vero ci ricorda alcuni spunti geniali e ispirati del miglior George Michael).

Di Beatlesiana memoria, infine, Won’t do that, in un crescendo festoso, con orchestra e fiati.

Siamo costretti a ripeterci, ma per chi ama il genere musicale del quale Williams è degno esponente, vale la pena ribadirlo: nulla che rasenti la mediocrità è stato inciso in questo meraviglioso album che, ci scommettiamo, riconsacrerà presto Robbie sul podio, fra i più titolati purosangue dell’easy listening internazionale. In una parola: “impedibile”.