Santarè “Ad occhi aperti nel buio”, recensione

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Per i piemontesi, “Santarè” è Sant’Eligio, una frazione di Monforte d’Alba, comune nel cuneese. E’ qui che, nel 2001, dalle ceneri di una formazione precedente, prende vita l’omonimo progetto musicale che inizialmente coinvolge Filippo Cavallo e Lucio Disarò

A poco più di un lustro di distanza dall’extended played d’esordio i Santarè arrivano (finalmente) all’atteso debut, pronto a raccogliere l’interesse di chi saprà riconoscere tra le 10(+1) tracce le delicate cuciture artistiche, realizzate con i fili dell’accortezza e delle emozioni, poste in eterno equilibrio tra cantautorato alternativo e pop dalle striature elettroniche. Infatti, proprio da qui si parte per questo nuovo viaggio…

Un anima elettrica di stampo vintage ci introduce nelle armonie del combo, non troppo lontano da alcuni sentori subsonici. Il ritmo battente e sintetico vira verso armonie easy e spirali non troppo discoste dal mondo dei Tiromancino. Infatti, l’introduttiva Paralleli di frequenze sembra proprio volersi vestire di un abito comodo, ma intessuto con cura e approcci sonori diretti da un impronta marcatamente pop.

L’incipit disorienta l’ascoltatore togliendo un preciso appiglio stilistico che matura con l’addentrarsi nelle tracce spensierate e disincantate (Un viaggio insieme), alternate ad arie emozionali (Libero). Il gruppo mostra un preponderante lato edulcorato, fortunatamente calmierato da strutture più a fuoco come l’interessante Venduta, interpolata tra filtri ed una diretta linea vocale, applicata in una dicotomia espressiva in grado di ridefinire il proprio focus. Sulla medesima direttiva appaiono gli splendidi cromatismi di Come aria, e la docile Appena niente che, pur nel suo minimalismo convince grazie alla sua struttura sonora semplice, ma deliziosamente narrativa.

Tra le tracce più interessanti, senza troppi dubbi ritroviamo Saturno , in cui l’emotività espressiva dona una maggiorazione alla narrazione, implementata dall’impostazione metodica e regolare, animata dai tocchi di archi sognanti che ben definiscono il battere delle toniche attraverso sensazioni vintage. Il fare “pacifico” della band si diversifica poi tra le arie eightees di Eroi e nella avvolgente Semplicemente un fiore, tenue traccia soffusa, in grado di raccontare con delicatezza un mondo che brucia le pagine ancora vuote.

Insomma, un disco poetico, che non insegue nulla e nessuno, ma si limita a raccontare storie delicate interpolate tra armonie emozionali e sensazioni dirette e scoscese.