Serpe in seno “Serpe in seno”, recensione

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“Serpe In Seno è un trio, la Batteria viene punita, il basso scava solchi nel suolo, la voce vomita elettricità.”

Magnifico.

Un album straordinariamente ruvido e spigoloso, in grado di convogliare presente e passato in maniera visionaria e futuristica, nel tentativo (riuscito) di raccogliere spezie Marilyn Manson, venature Marlene Kuntz e rigurgiti heavy.

Ladies and gentlemen ecco a voi i Serpe in seno.

Arrivano da Treviso cavalcando l’onda della Fleisch Agency pronti a dare alla luce un album che non fatico a porre tra i dieci migliori LP di questo primo trimestre. L’esplosivo debutto, anche grazie alla guida di Giulio Ragno Favero (de Il Teatro degli Orrori), si offre all’ascolto attentivo carico di energia polarizzata, da cui emergono sonorità inquiete, ben metaforizzate dall’arte pittorica di Veronica Merlo. Infatti, proprio la cover art, oscura e perturbante, riflette le sensazioni ermetiche che vivono in un songwriting mai banale e dal quale fuoriescono anamnesi legate imprescindibilmente agli anni 90.

Il disco, strutturato come un classico vinile, ci invita ad assaporare la sua scabra acidità attraverso una strumentale overture, in grado di mescolare sensazioni folli ed orrorifiche, attraverso una particolare asprezza emozionale, piacevolmente evocativa e pressoché perfetta nel ridisegnare con le note il proprio ardore. Da qui si riparte ( Ovoviviparo ) attraverso i tamburi grezzi e tribali di un pattern al servizio della distorsione chitarristica, in cui si innesta la vocalità filtrata di Giovanni Battista Guerra. I sentori Stone temple pilots sorprendono sino a virare verso gli spigoli di un alternative rock perduto, per poi modularsi su sonorità disturbanti, qui dettate dalla granulosità della sezione ritmica e dall’intelligibilità scarna della voce.

Suoni arditi, ai limiti del rumorismo, offrono linfa vitale al disco, posto tra rabbia e graffi che proseguono tra stop and go e venature space-industrial non troppo discoste da sentori nu-metal. Se poi con Laudano si arriva a perdere la verve espressiva, con La ballata del vile il suono imponente torna a convogliare l’ira espressiva verso i suoni di una sei corde funzionale all’angoscia epressiva e nereggiante, pronta a dilatarsi tra i silenzi e la teatralizzazione di un piccolo gioiello.

Non mancano infine suoni vicini al mondo doom, anche grazie all’inquietudine nera dell’ottima bass line, pronta a rivoltare lo sguardo verso i denti sgranati di Mont-Saint-Michel, perfetta nel suo sapore occludente e claustrofobico. A dare chiusura degna ad un album, in cui mi sento di bocciare solo lo slime packaging, sono i ricordi “Vili” di Messalini e gli spigoli heavy di Uomini o demoni, con i quali la band sembra tornare verso un industrial MM, qui incrociato con il sapore grezzo di quelli che furono i VM18.

Dunque, non vi resta che ascoltarli… e lo potete fare attraverso Bandcamp!

1.
2. Ovoviviparo
3. Un Castigo
4. Promessa
5. Laudano
6. La Ballata del Vile
7. Mont-Saint-Michel
8. Uomini o Demoni
9. Figlia di Mercurio
10. Messalina
11. Dea del Fuoco