Sibirka “Farlena”, recensione

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Arrivano da Milazzo cavalcando l’onda dell’AreaSonica e portando in dote 10 tracce in bilico tra Marlene Kuntz e Verdena. Un racconto composito, in cui il sapore indie emerge preponderante, tra le emozioni espressive dei testi, piuttosto accattivanti nella loro visione intimista e descrittiva.
Farlena altro non è che un debutto pensato e curato nei suoi dettagli e, pur mantenendo un necessario livello di genuinità lo-fi, scrigno aperto di intuizioni riuscite.

Un riff easy pulito e diretto è chiamato ad aprire le Tempeste invisibili mediante un piacevole rock, in cui i cliché della nuova generazione sembrano emergere da chorus (non sempre in linea), voce filtrate e ritmiche interessanti, interposte tra ambientazioni pseudo space e rock stilistico.
La band sembra voler donare il proprio ego a spezie new wave, qui al servizio di una strutturazione tipica dei primi anni ’90, in cui persistono linee di basso e riusciti riff, reale motore trainante delle variazioni agogiche. Nonostante alcune inevitabili sbavature, i cinque restituiscono un andamento coerente, privo di forti perplessità; una tendenza ai limiti del punk rock e delle sonorità hard-underground, proprio come accade in Paranoia. La linea vocale si erge forte e convinta, non disdegnando rimandi a Mr. Godano, proprio come accade, in maniera piuttosto marcata, in Eleonor and Kevin e Willy Wonka.
Il ritmo si fa in battere con la buona Complicità, traccia dal groove travolgente, in grado di ristabilire una marcata traccia lineare, macchiata da percettibili armonie vocali. Se poi deludente appare la titletrack, troppo monocorde nella sua struttura espositiva, è con la grinta punk rock di Zaros che si inizia nuovamente a muoversi e pogare, nonostante le impostazione inevitabilmente legate a Sui giovani d’oggi ci scatarro su degli Afterhours.

Il buon debutto è infine completato dalla malinconia onirica de L’uomo che non c’era e lo sguardo notturno di Delay, atto anticipatorio di un Sogno interessante e strutturato in maniera attenta nel suo interporre cambi ritmici e strutture cantautorati.

Un disco, dunque, in grado di mescolare orizzonti felici ad un’attenta strutturazione armonica che, pur dovendo trovare ancora la quadratura del classico cerchio, giunge coinvolgere ed emozionare