Sick Tamburo “Senza Vergogna”, recensione

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Dopo tre anni dalle loro Umane Tecniche Ossessive Altamente Irritanti, i tamburi malati di Gian Maria Accusani ed Elisabetta Imelio torna a battere per il terzo sorprendente lavoro.

Sorprendente… per una maturazione innegabile che ha portato i due ex Prozac a confrontarsi in maniera convincente con il loro passato remoto, senza perdere le ossessive astrusità linguistiche e le eccentriche ed occlusive partiture, che a differenza degli esordi di Sick Tamburo appaiono più orientate ad un ascolto riassestato sotto l’egida del punk rock alternativo, venato di striature armoniche, rock squilibrato e note tinte di blu.

Così, Senza Vergogna Mr.Man e Boom Girl arrivano a ridefinire le proprie idee espressive assieme a Doc Eye, Frog Man e Miss Understanding, pronti a ricalibrare il percorso iniziato nel 2009 sotto l’ormai svelato tentativo di anonimato.

Dieci tracce intense ed ipnotiche che non lasciano spazio a troppe elucubrazioni, ma che, al contrario, colpiscono i neuro trasmettitori dell’ascoltatore, qui accompagnato nelle sale di una più accentuata melodia, in grado di ridefinire curiosi momenti electro-punk, attraverso passaggi che, pur rimanendo claustrofobici e neri, riescono a ridisegnare un’inattesa apertura sensoriale.

L’intero album segna anche la cessione definitiva e completa della linea vocale ad Accusani, il cui particolare timbro riesce a raccontare le proprie storie con riuscita narratività. Una convincente decisione che permette (probabilmente più di prima) di ridefinire la sporcizia delle liriche, attraverso tinte crude e nude, dipinte sulle pareti del grigiore quotidiano, proprio come graffiti estemporanei.

L’album si apre con Qualche volta anch’io sorrido, la cui costruzione iniziale, limbica e ridondante, appare pronta a ricamare sovrastrutture minimal. Una traccia cadenzata nel suo itinerario lirico, attraverso lo sposalizio di note spigolose pronte ad alimentarsi grazie ad una soffusa aurea misteriosa, calibrato bilanciamento del pattern di fondo. L’ottimo incipit è immediatamente confermato dalle basse note di Prima che sia tardi, da cui sgorga un dolce sapore Prozac, complici forse i controcanti femminei, i riverberi e le eco strutturate attorno ad un esoscheletro sonoro dagli istinti pepperiani. L’arrocco chitarristico del finale apre poi verso il curioso approccio elettronico di L’uomo magro, visionaria ed ermetica composizione, che sembra voler nascondere allegorie espressive all’interno di una stratificazione del significante.

Il viaggio tra le onde de La tempesta prosegue con i tratteggi orientaleggianti di Niente ti dipinge di blue e il meraviglioso punk rock in battere di Quando bevo, che sembra continuare il discorso iniziato con Sono un’immondizia. Se poi con Ti amo (solo quando sono solo) si rivoltano crudezza e nervi, è con la sognante armonia di Il fiore per te che i Sick Tamburo toccano il punto di non ritorno. Una composizione articolata tra falsi finali e visioni alternative, qui impreziosite dal featuring di Davide Toffolo.

Insomma… un disco ricco di epifanie da leggere nel loro insieme compositivo, proprio come un film d’autore.