Snow in Damascus! “Dylar”, recensione

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Da sempre credo che quando un monicker funziona, la forza attrattiva verso un’opera venga acuita esponenzialmente. Scegliere il nome di un film, un disco, una band oppure di un romanzo deve essere fatto con attenzione. Un’attenzione che ovviamente parte dal proprio cuore, alimentato da ego ed intelletto, in modo da renderlo unico ed appetibile. Se poi si riesce a donare al proprio battesimo anche curiosità e una certa dose di arte visionaria, allora sì…si è fatto centro.

E centro lo hanno fatto Gianluca Franchi, Matteo Bianchini, Giorgia Fanelli, Ciro Fiorucci e Michele Mandrelli, anime artistiche del progetto Snow in Damascus, quintetto posto al centro di un magico triangolo i cui vertici illuminano sensazioni d’altronica, folk e showgaze. Attivi da poco meno di un lustro, la band di Città di Castello, si presenta al proprio pubblico nascosta dietro una straordinaria opera di cover art, in cui l’impronta inquieta e distopica della sua rappresentazione, sembra portare alla mente alcuni stralci inventivi di Jason Rothernberg e Kass Morgan. Ma oltre l’estetica, perfetta nel suo packaging, si nascondono accorte alternanze di luci ed ombre, alimentate da riferimenti letterari postmoderni in grado di aprire porte percettive ad un curato songwriting.

I riflessi dei Snow in Damascus pervadono le nove tracce in maniera composita sin dal principio di This room, accompagnata dal visionario ed immobilistico video clip. La voce gentile di Giorgia Fanelli si armonizza all’impronta elettronica, dando spazio agli spettri vocali della voce narrante, pronta ad avvolgersi a giochi sonori in free noise ed accoglienti e ridondanti pattern post rock.

L’arte inquieta sembra voler virare verso sonorità di calmierante cripto new wave, vestito con aperture easy, in cui la quattro corde delinea l’introduzione di una diretta semplicità, con la quale ci si pongono quesiti metaforici, pronti ad aprire lo sguardo verso l’ignoto dell’opposite way.
Lo sguardo va poi a posarsi verso le spire indie-pop di Sink With me, dolce rimando interposto tra Kings of Convenience e Fanfarlo, da cui sembrano riprendere sonorità folk deliziosamente aggreganti. La traccia, di certo tra le più interessanti dell’album, si appoggia alle visioni nuvolari di Blu, che offre un ulteriore prova di come questa band stia volgendo alla giusta direttiva, proprio come dimostra il suono delle dita sulle corde, calore da assaporare ad occhi chiusi.

Un disco che riflette le proprie intenzioni sui calibrati battiti di Shadow line prima e le oscurità altroniche di Hold me, in cui un nereggiante tappeto sonoro richiama sensazioni leggere quanto gli archi su cui si innestano le gocce ansiose di note metodiche, pronte a cambiare il proprio punto di vista tra gli arpeggi di Chamging views che osa (forse troppo), offrendo un lungo viaggio verso l’ignoto.

Tracklist

1. This Room
2. In The Opposite Way
3. Sink With Me
4. Blue
5. Tide
6. Shadow Line
7. Mine
8. Hold Me
9. Changing Views