Tritonica “Disforia”, recensione

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Un accordo di due note distante tre toni, tre vertici compositivi (basso, chitarra, batteria), tre voci narrati: ecco a voi Disforia, creatura claustrofobica, altera e ardita. Un’opera pensata dai Tritonica, band dedita a docili rumorismi “coagulanti”, pronti a dividere la propria scena con divini silenzi espressivi (Semiramis) e teatralità dalle ridondanze nereggianti.

Il disco, figlio derivativo dei germi kuntziani, gioca con pennelli sonori impregnati di cromatismi escludenti (Semiramide) e rigurgiti destinati a fagocitare l’ascolto (Solve). Un suono spigoloso e pungente che definisce il battesimo di questo viaggio istintivo, folle e bipolare nei meandri di un disagio ansiogeno. Infatti, proprio le dissonanze iniziatiche di Al Ghazali sembrano voler giocare con l’ascoltatore ricorrendo ad un uso rabbioso della vocalità. Un istinto HC che torna con prepotenza dopo gli inganni iniziali di Manjala, inquieto e depressivo viaggio musicale, pronto a divenire ansiolitico e psicotico prima (Zag in Bb) e sussurrato poi (Alchimia del fatto).

Il platter, promosso da Dischi bervisti, tra citazioni e delineata narratività, segna la propria dead line sulle note dipinte di Minimonesis, urlo silente e calibrato, ideale chiusura di un mondo metaforico e visionario, in cui il sentimento disforico chiude a false attese, qui diluite da sensazioni post, in grado di dare al disco un’animosità descrittiva che trova nel suo continuum narrativo la sua naturale ragione essere.

Tracklist
1. al-Ghazali
2. Manjala
3. Zags in Bb
4. Alchimia del Fato
5. Cronotopica
6. Coagula
7. Jimi
8. Semiramis
9. Semiramide
10. Solve
11. Mimonesis