Underwell “Plan your rebirth”, recensione

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Il mondo degli Underwell sembra trovarsi proprio a ridosso di quel un secolare ceppo che domina la corver art del loro Plan your rebirth, metro separatore di due celate realtà conseguenziali, metafore di una musicalità in evoluzione, specchio di una lettura che ci fa intuire un ben calibrato percorso narrativo, in cui le nebbie gelide dell’industrializzazione persa e fagocitante, lasciano il posto ad un’apertura naturale, legata alla concettualità post, tipica di concept vicini alle visioni filmiche di Francis Lawrence ed Erik Kripke.

Il piano di rinascita della band è rappresentato da questo full lenght che, pur mancando di una completa uniformità espositiva, offre ottimi brani costruiti attorno a riff iniziatici, definibili come armonici ponti esistenziali tra uomo e natura. Il post core voluto dalla Worm Hole Death appare speziato e diversificato nelle sue partiture, semplicemente racchiuse tra rabbia genuina e melodia diretta.

A dare inizio alle sonorità di questo interessante debut è la vocalità panteriana di The deception, traccia appoggiata su di un incipit domato dalla batteria al servizio di un clearing vocale, le cui divergenze stilistiche si arrampicano sui tentativi di arieggiare la nebulosa aurea industriale. Con i ritmi si innalzano poi in maniera veloce e libertaria, all’interno di un’esposizione narrativa le cui citazioni in growl lasciano il timone sonoro ad armonie aperte che, pur concedendo qualcosa di troppo all’easy listening, trovano la loro chiave d’arco nell’uso delle pelli. Con The world of pain si torna ad una concettualità svincolata, al servizio di una traccia (forse) meno interessante di altre, proprio a causa di ridondanze armoniche che nascondono passaggi poco genuini. Le chiare note del solo non bastano a ristabilire il contatto con l’ottimo post-nu metal di A shadow in the night in cui sapori 2000’s si sposano alla perfezione con le urlanti note HC, le cui ombre non riescono a soffocare le speranze della gioventù malata.

La necessaria demolizione del vecchiume si incancrenisce infine nell’ottimo groove di Bye Bye Black Bird, il cui dialogo chitarristico si accompagna ad un delizioso drum set. Dalle pelli si riparte per una calmierante enclave, funzionale alla definizione del rituale di passaggio, qui ben definito dal varco sonoro che conduce a vocalità post death. Gli sviluppi puliti fungono poi da anticipazioni esecutive della reattività di e della calibrata vis core di Round 3, struttura vicina alla chiusura di The God’s Anxiety, atto di conclusione di un disco che scricchiola solo sui dettagli marginali.

The Deception
Head Will Die
The World of Pain
A Shadow in the Night
Sick Youth
Bye Bye Black Bird
Clean Cut Skin
The Healing
Round 3
The God’s Anxiety