Vasco Rossi – Vivere o Niente. Recensione cd

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Una cosa è certa: Vasco Rossi è un monumento nazionale.

Sta sulla piazza da decenni e nessuno potrebbe anche solo minimamente pensare di smuovere di un centimetro la sua consolidata e granitica posizione di # 1 della musica italiana.

A differenza di molti altri, mi ritengo un “fan” dell’ultima ora in quanto ho iniziato a seguirlo con attenzione solo nel ‘98 con l’uscita di “Canzoni per me”, recuperando solo dopo, e con molta calma, quei primi lavori che hanno posto le basi dell’incredibile successo che oggi conosciamo.

Mi ricordo che quando si presentò a Sanremo con “Vado al massimo” nel 1982 e con “Vita spericolata” l’anno dopo, era considerato, un po’ da tutti, niente di più che un fuori di testa, quasi un comico o, se vogliamo, una sorta di “parodia artistico-umana”.
Poi la sua maturità musicale è cresciuta, oggettivamente, album dopo album, con picchi di notevole spessore come “C’è chi dice no” (fra i miei preferiti in assoluto) e “Liberi Liberi”, a fine anni 80 dopo i quali la sua corsa non si è praticamente più arrestata.

Gli ultimi due cd, “Buoni o Cattivi” (soprattutto) e “Il mondo che vorrei” (appena un gradino più in basso) rappresentano, infine, il coronamento di un’ascesa senza precedenti nella storia del rock di casa nostra, puntualmente suggellata da oceaniche presenze negli stadi di tutta Italia (compresa la mia Latina dalla quale fece partire un paio di tour).

Con queste premesse è evidente che le aspettative su questo “Vivere o niente” non potevano che essere elevatissime e mi è sembrato sacrosanto dedicare un’attenzione supplementare nel descrivere i migliori fra i suoi 12 pezzi.

Come nel precedente album Vasco spiazza tutti aprendo con una dolce ballatona “Vivere non è facile”, dalla crescente anima rock (l’assolo elettrico è una vera goduria), che prima ancora di iniziare a suonare è già un classico. Infatti, basta appropinquare l’occhio nel testo e si ritrovano alcuni fra i temi più cari all’autore che, inevitabilmente, torneranno nel resto del disco. In pratica è l’ennesima presa di coscienza della sua incapacità di dominare la vita (…“continuo a farmi fottere da me”) e di difendersi da se stesso.

Non si fa in tempo a prender fiato che subito ci si ritrova catapultati nel frenetico vortice di chitarre del “Manifesto futurista della nuova umanità” che esprime, con tono palesemente spinto fra il sarcastico e lo strafottente, il Vasco pensiero definitivo sulla vita (sul quale, in fondo, ogni uomo è intimamamente chiamato a “scommettere”): Dio non esiste, è tutta una favola, il caso ci ha portato qui e allora tanto vale farsi trasportare dalle emozioni, evitando solo che queste finiscano con l’ucciderti.

Il ritmo cambia ancora (stavolta in un piacevole midtempo, simile a quello che scandisce un treno a vapore) con “Starò meglio di così”. Personalmente la trovo fantastica per la sua naturalezza nell’evocare musicalmente il viaggio, e per quel suo suono un po’ americano che la rende accattivante.

Nel bel mezzo dell’album poi il Blasco piazza la sua personale “manita vincente” con 5 tracce tanto efficaci quanto piacevolmente eterogenee che sinteticamente proverò a raccontare.
Prima c’è la cavalcata rock in crescendo di “Prendi la strada” (dove ribadisce con la solita ironia che…la vita è nostra…e dobbiamo fare le scelte senza farci influenzare da nessuno); seguono la poppeggiante “Dici che” (…dedicata a chi dice al proprio compagno che cambierà ma già sa che così non funzionerà….perché in fondo non si muore per amore) e l’ormai pluriascoltato singolo “Eh già”, dal refrain più radiofonico mai scritto prima dall’autore e nella quale sottolinea che, nonostante tutto, non ci libereremo facilmente di lui (e per fortuna, aggiungiamo noi).
Chiudono il gruppo l’immancabile deriva hard rock di “Pazza di me” (con alcuni passaggi softcore…che sono tutto un programma) e la title track della quale mi limito a dire che con la sua atmosfera dark, assolutamente coerente col messaggio straziante che urla (“io sto male!”), è la sintesi perfetta del mood odierno del cantante di Zocca.

Discorso a parte merita “L’aquilone” (ennesimo classico ante litteram) che come approccio si avvicina ai pezzi del già citato “Canzoni per me” (con una base acustica e ritmata, alla “L’una per te” tanto per intenderci) e che presenta una visione del mondo, se vogliamo, un po’ hippy. Il tema, non nuovo, è il sogno di poter evadere da una realtà fondata su un progresso insostenibile, così piena di brutte notizie e allucinanti contraddizioni, ed in grado di regalare solo pochi istanti di felicità (spalmati lungo “una vita che dura un secolo …se sei fortunato”). Alla fine del pezzo Vasco si permette perfino un’azzeccatissima autocitazione, riprendendo quella “Vado al Massimo” dalla quale non si è mai empaticamente allontanato.

L’ultima canzone degna di nota è la lentissima “Stammi vicino”, per gli amanti del suo lato più romantico e innamorato. Vedo già gli accendini che ondeggiano nei prossimi concerti quando magari nel suo set la piazzerà un po’ prima dell’ormai immancabile “Albachiara”, per un memorabile e passionale finale.

Aggiungo, per concludere, che ancora mi stupisco di come, nonostante non condivida praticamente nessuna delle idee di Vasco, la sua musica riesca sempre e comunque a regalarmi così grandi emozioni; tanto da volerle condividere con urgenza con quanti apprezzeranno il consiglio di acquistare questo bellissimo disco (tra l’altro dal fichissimo packaging e da una copertina studiata a pennello…sulla quale ogni commento è superfluo, dopo i fiumi di parole da me già riversati in questa recensione).