Voci Nuove :Mymistake+Cottarelli+Cellule dormienti

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Voci nuove

MyMistake
“EP”

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I Mymistake, sono un interessantissimo ensemble abruzzese di Chieti, dedito al brit-pop londinese, spruzzato di alternative newyorkese. Un easy listening andante, ben strutturato, tra la “Verve” giovanile e sonorità più costruite di ciò che ci si può aspettare da una band così sbarazzina.
L’Ep si sviluppa attorno a (purtroppo) solo tre tracce, che per ovvietà di cose, rimandano al futuro giudizi più completi ed esaustivi, in quanto i 13 minuti scarsi appaiono troppo pochi per definire appieno la band, anche se si può azzardare (neppure troppo) parlando di terreno molto florido.

Il disco parte con la giusta andatura, tra chitarra ritmica e chiare note elettriche che, come una litografia dei Coldplay, introducono l’efficace voce del frontman, le cui corde vocali si accomodano tra John Wozniak e Chris Martin. Il brano regala buone vibrazioni sin dal suo primo ascolto, con giochi di microfono e aperture solari, che riportano alla mente felici e nostalgici momenti di vita vissuta. Devo davvero dirmi entusiasta di questo incipit di “EP”, nonostante un assolo d’outro un po’ troppo ruffiano, intagliato in modalità eccessivamente poppeggianti, per un brano che avrebbe avuto maggior spinta se sviluppato con scheletri sonici alla Turin Brakes.

I toni del mio entusiasmo iniziale si affievoliscono sensibilmente con “Emptiness”, in cui la sezione ritmica riesce ad emergere maggiormente tra le chitarre in battere, anche se la tipologia semplicistica di arrangiamento avrebbe dovuto portare con se una necessaria creatività, come accade in “Wasted out”, in cui l’evoluzione della traccia ricalca quella di “Tired” dei teutonici Liquido. Una rock ballad che, pur non nascondendo nulla di originale, vive di luce propria. Nel suo insieme, quindi, possiamo parlare di un buon esordio, che manca però di maturità compositiva (che di certo verrà), di un buon web site e di un full lenght, che attendiamo al più presto…e come direbbe Facchinetti JR…nel frattempo non ci resta che sostenere la buona musica italiana dei Mymistake!!

Mario Cottarelli
“Prodigiosa macchina”

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Chi solitamente osa leggere le mie nefandezze lessicali sa che, a causa di deformazione professionale, spesso il mio sguardo si appoggia, sull’aspetto estetico di un disco. Pur aborrendo chi tra gli animali sociali valuta, giudica e pre-concettualizza l’esteriorità, non riesco a sposare serenamente la filosofia dell’abito e del monaco quando si parla di cover art, che reputo senza mezzi termini, un biglietto da visita essenziale.

Questa volta la mia cinica ed umile scure si abbatte sull’artwork di “Prodigiosa macchina” Di Mario Cottarelli, che a mio avviso, risulta fuori tempo massimo, con il suo Kitch tanto retrò quanto anti estetico.

Ovviamente, i più (fortunatamente) non si soffermano (solo) all’esteriorità, ma rimandano all’essenzialità e alle centralità della musica nascosta dietro alla copertina.

Il disco di Cottarelli è tortuoso è forse troppo ambizioso, ma fondamentalmente chi suona il prog rock non può prescindere da questi due vocaboli. Nelle tre lunghe suite che compongono l’album, le virate verso il new age, l’elettronica ed il classicismo, deformano la rigidità imposta dal genere, arrivando a definire il disco interessante solo per il suo mondo.

Tra muri e filosofia, Mario narra questa “Prodigiosa macchina” attraverso giochi vocali tutt’altro che facili ed aggraziati, ma probabilmente è proprio questa la forza dell’autore.
Similmente a grandi artisti del passato, gli svolgimenti sonori definiscono una forma elitaria di ascolto, come accade con “Il pensiero dominante”. Un’aurea drammatico-liturgica accompagna le note tra le più classiche partiture passatiste, in cui ritmiche spezzate si amalgamo all’(ab)uso delle tastiere.

Il brano più interessante sembra però essere quello conclusivo “I cori della via lattea”, in cui un sentore horror iniziale, figlio dei Goblin, apre ad un buon uso delle quattro corde e a cori post-space dalla chiusura poppeggiante.

Un disco che per molti sarà un mistero da scoprire delicatamente come una poesia di Von Birken, mentre per altri sarà semplicemente un disco prog italiano.

Le cellule dormienti
EP

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Le cellule dormienti sono semplicemente vecchie cellule che possono essere riattivate, rimovendo la proteina p21, arrivando così ad ottenere la nuova capacità di dividersi. Come una sorta di araba fenice giungono a vita nuova per la riparazione dei tessuti. Ed è proprio di nuova vita che si parla nelle tematiche portanti della band Fiorentina.

L’album si apre con il rock pop di “Ismael e Mustafà”, traccia sbilanciata su diversificati orizzonti, dal drappeggiante narrato al soft funky, per un songwriting incentrato sulla voglia di pacificare le diversità, perché “Solo un cielo, in fondo solo c’è, solo un cielo per me e per te”. La voce di Matteo Marliani, assestata tra Zampaglione e Venuti, si trova al suo meglio in “Il nostro gioco”, ballata cantautoriale su sfondo raggae, semplice ed essenziale, orecchiabile e piacevole, un amabile atto d’amore al mondo delle note, che come in una tavolozza di colori ad olio dipinge l’intorno.
Senza soluzione di continuità, si passa al rock indurito di “Amarika”, in cui finalmente emergono le capacità ritmiche di Valentino Berto; un brano che per certi versi mi ricorda le immagini documentaristiche di Zeitgeist (“Ci racconti le tue storie in mille repliche deformando la realtà in ogni limite”), alimentate da bridge infarcito di sampler e da un interessante sound heavy, che ben si accompagna agli intenti delle Cellule Dormienti.

L’Ep si chiude con l’aria dolce e sognante di “La ballata b612”, che, nonostante alcune poco convincenti linee di cantato, offre originalità compositiva e narrativa, proprio come in un romanzo di Paasilinna, attraverso poetica estatica e viaggi stralunanti.

Insomma un esordio non ancora totalmente maturo, ma fondamentalmente un buon inizio, che ha la necessità di migliorare le esposizioni alle pelli, non sempre adeguate, ma che ha come valore aggiunto un’interessante verve compositivo-musicale, che non avrà difficoltà ad emergere dall’underground.