Wu-Tang Clan – Legendary Weapons

Cd Cover

http://www.youtube.com/watch?v=r3JE-hsRVNg

E’ vero, l’Hip-Hop non è più quello di una volta. Frase fatta, banale, alla lunga stancante, dato che viene ripetuta per ogni genere musicale la cui gloria è lontana anni, a volta addirittura decenni. Frase che spesso fa da preambolo alla fanfara mediatica del “ritorno” del genere in questione, morto e resuscitato dagli stessi che lo avevano ucciso, gli stessi che forse non lo hanno mai conosciuto a fondo. E se il punk dei Green Day non è quello dei Clash e se il prog dei Dream Theater non è quello dei King Crimson, nemmeno l’Hip-Hop di qualche giovanotto appena uscito dal barbiere e dal centro commerciale (non faccio nomi perché non ne vale la pena) è lo stesso dei Wu-Tang Clan. Qualcuno dirà “ma i Wu-Tang Clan non hanno inventato il genere, sono arrivati negli anni 90, quando l’Hip-Hop esisteva da quindici anni”. Vero ma è proprio questo il punto: i Wu-Tang Clan hanno cambiato l’Hip-Hop senza snaturarlo, lo hanno rivoluzionato con un nuovo stile, un diverso approccio ma hanno rispettato quelle che sono le basi di questa musica, che senza il suo spirito di strada e senza il suo piglio sfrontato e diretto non sarebbe ciò che è. E nonostante gli inevitabili alti e bassi e le tante vicissitudini all’interno di un ensemble che comprende nove membri originali e una sterminata serie di affiliati, i Wu-Tang Clan nel 2011 sono ancora miracolosamente un gruppo con nessuna defezione, a parte quella tristemente inevitabile di ODB, deceduto qualche anno fa.

Non si offendono se vengono considerati veterani, molti di loro sono ben oltre i quaranta eppure il loro sound continua ad essere inconfondibile. Persino in un album come Legendary Weapons che è un po’ il seguito naturale di Chamber Music, quindi un progetto che dà spazio a molti ospiti ad accompagnare al microfono gli mc’s storici del gruppo. E proprio come in Chamber Music, la scelta delle guest-stars punta direttamente a nomi underground, senza cercare visibilità tramite nomi facili e malleabili. Questo porta ad un super concentrato di rime taglienti e micidiali che si poggiano su dei beats potenti. Quello che serve all’affamato di Hip-Hop “come una volta”.

“Start The Show” è l’apertura del disco, una sorta di intro rappata che verrà probabilmente utilizzata anche per dare il via ai live visti gli intermezzi da fomento, ma che ci mostra subito un Raekwon in grande forma e un RZA che torna al microfono puntando su complessità e saggezza. Ma la prima bomba è “Laced Cheeba” dove Ghostface attacca una scarna batteria con lo stile che lo ha fatto diventare forse il membro più rispettato dei Wu, seguito da uno dei migliori rappers in giro, il crudo Sean Price ed infine il sottovalutato Trife Diesel, un affiliato che in ogni sua presenza non delude. Al ritmo calmo ed allucinato di “Diesel Fluid” non poteva che trovare spazio Method Man, ma anche un redivivo Cappadonna che sembra tornato ai fasti dei suoi esordi. Il suo verso è un concentrato di energia e tecnica che da lui ci mancava da tempo. Una perla da top ten dell’anno è sicuramente “The Black Diamonds”, costruita su una bel giro di tastiere e sulle classiche conversazioni kung-fu ed arricchita dai versi impeccabili di Ghostface, Roc Marciano (occhio a lui) e da Killa Sin. A fargli concorrenza è però la title-track, una bomba assoluta di drum machine, campionamenti epici e scratch che esalta i protagonisti, tra cui ancora lo stakanovista Ghostface, un sempre perfetto AZ e gli M.O.P., diretti al punto come al solito. Teste che scuotono garantite al 100%, un esempio per capire cos’è l’Hip-Hop in forma musicale.

Arrivati a metà album, verrebbe voglia di ascoltare qualche altro membro del gruppo e siamo accontentati con “Never Feel This Pain”, dove hanno il loro momento Inspectah Deck e U-God, che sembrano non aver perso i loro rispettivi e caratteristici stili. Peccato però che gli sia toccato il pezzo più loffio del disco, con una base un po’ dimessa ed un coro per ritornello che centra poco con l’atmosfera tesa dell’album. Per fortuna Killa Sin, al quale vengono affidati i due minuti di “Drunk Tongue” ci riporta nel clima giusto con un freestyle tiratissimo che ci conduce nella parte finale dell’album. U-God prende la sua rivincita con una base molto più efficace, impreziosita da sample di fiati e cambi di ritmo, nell’apertura di “225 Rounds” nella quale è seguito da Cappadonna, Bronze Nazareth e RZA, tutti in grado di fornire versi soddisfacenti. Prima di concludere c’è però un altro highlight, “Meteor Hammer”, dove è ancora Ghostface ad aprire le danze convincendo alla grande e facendo da apripista a colui che in molti considerano proprio “Il nuovo Ghostface”, quell’Action Bronson che dimostra di essere all’altezza di palcoscenici importanti imponendo il suo stile. A chiudere il pezzo spazio anche per Termanalogy che si ricorda di nascere come mc dalla tecnica sopraffina e stupisce con i suoi cambi di velocità. La parola fine la mette RZA con un pezzo solista, “Only The Rugged Survive”, dove c’è molta della sua follia creativa, che al microfono a volte prende vie bizzarre ma risulta, almeno a piccole dosi, di grande intrattenimento.

Magari “Legendary Weapons” non è a tutti gli effetti un album dei Wu-Tang Clan in quanto è legato fortemente alla presenza di rappers esterni e anche se tutti i membri originali tranne Genius e Masta KIlla appaiono, per molti di loro la partecipazione si limita ad uno o due pezzi. Ma chiarito che questo non è il nuovo “36 Chambers” o tanto meno un concept album, c’è tanta, tantissima qualità e ci sarà da divertirsi a decidere chi ha il miglior verso (per me una lotta tra AZ e Roc Marciano, con menzione speciale per Cappadonna) e sarà come tuffarsi in un insieme di posse-cut inedite, che è il vero paradiso per i tanti amanti dell’Hip-Hop. Per questo ringraziamo lo spirito degli Wu, che pur con astuzia mettendo il nome su un album che non è un album vero e proprio, mantengono vivo il sound che molti hanno tentato di uccidere.