Yes – Live a Roma 4 novembre 2009

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Finalmente la grande attesa è finita, gli Yes tornano a Roma.

La storica band britannica che insieme a gruppi come King Crimson e Van Der Graaf Generator, portò all’apice creativo e tecnico il genere del Progressive Rock, genere nato nella seconda metà degli anni ’60 come sviluppo tecnico del Rock Psichedelico, il quale ebbe all’inizio accenni sporadici in gruppi come Cream o Nice ma che fu delineato come vero e proprio genere da gruppi quali Genesis, Family e Traffic.

Gli Yes si presentano con l’ennesimo cambio di formazione: Chris Squire al basso (unico componente rimasto sin dagli inizi), Stewe Howe alla chitarra e Alan White alla batteria. I nuovi arrivati sono Oliver Wakeman (figlio di Rick, ex membro del gruppo) alle tastiere e lo straordinario Benoit David alla voce, elemento di una cover band degli Yes e scelto per la sua abilità nel ricreare il timbro di Jon Anderson.

Continui cambi di formazione, scioglimenti e riunioni, hanno fatto si che la produzione di questo gruppo sia estremamente variegata, tanto da creare divisione tra i fan, come quelli che preferiscono il periodo anni’70 da quello anni’80 (o viceversa). Resta il fatto che i musicisti alternatisi nel corso degli anni sono sempre stati di alto livello, contribuendo a formare una discografia eccellente.

Il concerto, iniziato verso le 21.45, è partito benissimo, col gruppo carico e il nuovo cantante che sembra quasi il clone di Anderson se non fosse per la voce un po’ più alta, un po’meno “sabbiosa” e qualche decina di rughe in meno dello storico cantante. Sono stati proposti quasi tutti i più grandi successi della band con la consueta interruzione acustica a metà concerto, dove Howe ha deliziato il pubblico con due brani. Il concerto è stato un tripudio di musica: armonie vocali perfette tipiche degli YES (che ricordano quelli di Crosby, Stills, Nash & Young), assoli e cambi di tempo eccezionali che hanno ricostruito le canzoni delle diverse epoche del gruppo, suscitando emozioni che hanno tenuto incollati gli spettatori per due ore. Il gruppo, che in passato spiccò rispetto ai colleghi del prog-rock per un atteggiamento più spigliato sul palco (quasi esibizionisti, per il genere), si è presentato un po’ statico, cosa che però appare normale vista l’età dei componenti, fattore che comunque non delude il pubblico amante di questo genere, sicuramente amato per la qualità tecnica dei musicisti che per la loro presenza sul palco.

Non è stato il classico rock show, ma un portale dimensionale che ha portato il pubblico indietro nel tempo, facendo loro provare delle sensazioni che in questi ultimi venti anni erano quasi sparite: una macchina del tempo che ha catapultato tutti in un mondo fatto di sonorità senza tempo, affascinando i più giovani (come me) e commuovendo i più grandi. L’intero teatro è stato pervaso da una calma glaciale, generata dalle canzoni di questa band, band capace di creare album che suscitano a volte sensazioni più frigide e altre molto più romantiche, in grado di rievocare perfettamente queste sensazioni anche dal vivo. Esempio su tutte è l’esecuzione di Roundabout che ha coinvolto al massimo l’intero pubblico.

Unico neo sta forse nell’esecuzione del loro brano più pop Owner Of A Lonely Heart che apre la seconda parte del concerto, un po’ sotto tono rispetto alle altre esecuzioni.

La location sicuramente non rendeva giustizia ad uno dei gruppi più importanti della musica, ma ha creato una certa intimità che ha esaltato l’evento. Gli YES quindi lasciano Roma estasiata e si preparano a contagiare anche il resto del pubblico europeo.