Goa Boa 2019 Salmo

2019; mi guardo indietro e mi rendo conto di essere al mio ventesimo Goa Boa da recensore. Scuoto la testa sentendomi vecchio, ma di certo soddisfatto nell’aver avuto la fortuna di poter vedere sul palco artisti come Skunk Anansie, Beck, Afterhours, Gazzè, Antony and the Johnson, Persian Jones, Punkreas, Carmen Consoli, Roy Paci…  passando da location straordinarie come la Pressa di Campi, a quelle meno fortunate di Ponte Parodi, per poi attraccare in una delle più suggestive aree concerti d’Italia (…e permettetemi di dirlo con cognizione di causa). Il piazzale antistante gli storici magazzini del cotone, infatti, ancora una volta ha funzionato da perfetta cornice al festival, fornendo agli spettatori un area vivibile e ben organizzata, in cui le attese tra un concerto e l’altro scorrono via veloci tra divanetti gonfiabili, sdraio giganti e panche in october fest style, dove potersi fermare a guastare uno tra i tanti piatti proposti dalla kermesse.

Tra le migliori risorse del Goa Boa Festival 2019 troviamo l’accorta decisione di utilizzare un doppio palco. Infatti, a complemento dei live sullo stage principale,  l’organizzazione ha deciso di proporre un palco secondario per gig più intime, in grado di dare, a mio avviso, più risalto ai gruppi emergenti come i giovanissimi Psicologi, interessanti ma forse un poco acerbi.

Il sold out della serata sembra, perlopiù, offrire la presenza di un target giovanissimo e giovane, qualche papà e mamma di scorta ai figli minorenni e sparuti over 40, dimostrazione del fatto che l’headliner della serata possa riuscire a parlare a diverse generazioni, cosa che forse non ottiene, ma soprattutto non vuole ottenere  Massimo Pericolo. Il rapper varesino, spinto da una funzionale e ben connotata rabbia antisociale, va ad utilizzare in maniera eccessiva lo sproloquio in modo da poter agganciare il proprio pubblico, anche se (forse) non ce ne sarebbe necessità, visto il songwriting che disegna i contorni di una ribellione narrata (Scialla Semper) che gioca con una realtà (7 miliardi) per certi versi punk ( “Sono il futuro, ma senza un futuro”).  A dare continuità alle barre è poi Quentin40 che con 666GAP  e Thoiry, si dice pronto a fa cantare e ballare le prime file con il suo particolare stile narrativo, definito da parole tronche e numeri, che a ben vedere appaiono una costante tematica del mondo nato attorno al giovane rapper romano.

Tra le proposte più interessanti della serata, però, dal mio soggettivo punto di vista, troviamo , rapper  che, complice la sua particola timbrica vocale, è riuscito ad emergere da un oceano di proposte attraverso l’uso stretto del dialetto campano e un narrato che sembra trovare nel vissuto parigino l’imprinting espositivo. Vestito con la bianca maglia del franco-algerino Sofiane Feghouli, Speranza offre all’ascolto testi vicini al gangsta rap, ponendosi come voce fuori campo di testi crudi, granulari e, a tratti, violenti quanto un film di Scorsese. Il live genovese appare, infatti, carico di tutti gli elementi che hanno caratterizzato l’ascesa dell’artista che anche in presa live, riesce a esternare emozionalità e coinvolgimento attraverso i flow avvolgenti di Sparalo! e Spall a Sott.

 

 

 

Mentre l’Arena del mare continua a  gremirsi facendo defluire la lunghissima fila alle casse, il sole cala sui traghetti turistici che lambiscono il molo. L’attesa sale per la star della serata: Maurizio Pisciottu in arte Salmo, protagonista di un live praticamente privo di sbavature. Infatti, la ragionata setlist riesce a dare una buona continuità espressiva, modulando diversificati momenti in cui poter ascoltare, ballare e scatenarsi in un pit da conquistare e non certo recintato dalla stupidità.

Il live, dato a battesimo da 90min e Mic teaser, sin dalle prime battute, mostra un Salmo in piena forma nonostante la costrizione di dover macinare chilometri sul palcoscenico armato di sedia a rotelle elettrica. La postura obbligata penalizza di certo la voglia del rapper terranoese, pronto a giocare con il pubblico attraverso Russell Crowe e Perdonami.

Vestito con un improbabile mise, il frontman, a differenza di chi lo ha preceduto, si avvale di un impianto sonoro-musicale d’impatto, in cui la batteria di Jacopo Volpe definisce assieme a Davide Pavanello una battente sezione ritmica, su cui giocano le sei corde di Azara e i “Prodigyosi” movimenti di DJ Slait, più volte chiamato in causa da Salmo. Il viaggio nel mondo del rap (o se preferite dell’alternative rap) viene complimentato dai due maxischermi laterali e da un mega schermo ai confini delle quinte, su cui scorrono loop, immagini e giochi di luci, proprio come accade con Daytona, durante la quale le rosse immagini delle auto da corsa seguono ad uno spiacevole e incomprensibile gesto inconsulto: dalle prime file, per ben due volte, arrivano alcune monetine. Ma Salmo…non è certo Alemao; infatti blocca solo per pochi secondi il live, proprio il tempo per chiedersi con sincera rabbia chi può essere così idiota da pagare un biglietto per lanciare oggetti sul palco. Dopo l’intoppo, Papparapà ricomincia e a seguire 1984 e Il cielo nella stanza che, a quanto detto dal suo autore ha iniziato a portare una notevole quota rosa ai suoi concerti.

 

 

La traccia, introdotta da un omaggio a Cristiano Godano (che temo abbiano colto solo gli over quaranta…), anche nel live genovese viene utilizzata come spartiacque, in quanto porta a chiudere la prima fase del live per dare apertura ad un lungo reprise, in cui Salmo decide di alzarsi dalla carrozzina per dare fuoco alle ultime polveri attraverso una sorta di trance-dance in cui spiccano i duetti (con Dani Faiv, Speranza, Massimo Pericolo e Izi) e l’impeccabile Ho paura di uscire, durante la quale il cantante molla gli ormeggi e si lancia in un contenuto ballo liberatorio accompagnato da un’accelerazione del flow, luci strobo  e sensazioni techno-beat.

 

È quasi l’una di notte, si accendono le luci e ripensando al jump slipknotiano e al pogo schierato del pubblico, capisco il sold out… in fondo Genova non è un paese per vecchi.