Goran Bregovic Karmen con lieto fine

NULL

Salendo le scalinate nobili del Teatro genovese per eccellenza, ci si ritrova di fronte ad un immenso palco vestito di drappi neri, sotto ai quali una scenografia spartana, composta da nove sedie, un televisore e un sedile d’automobile, non vuole di certo rubare la scena ai contenuti di questa splendida rappresentazione.

Infatti, finalmente giunge anche nella Superba, l’opera zingara eseguita e interpretata dal talentuoso Goran Bregovic e dall’Orchestra per Matrimoni e Funerali. La storia racconta, in una bizzarra mistura di idioma italico e balcanico, di Kleopatra, tzigana indovina della televisione, che si invaghisce durante un’audizione di Bakia lo spazzino. Qui inizia uno spendido gioco dei ruoli in cui i reali personaggi dello spettacolo si confondono e si reinterpretano attorno alla “Habanera” della Carmen, personaggio cardine dell’opera di Bizet. Si arriva ben presto alla assimilazione rappresentativa tra Kleopatra e Karmen nel ruolo recitato e cantato straordinariamente da Vaska Jankovska, fastosa interprete principale. Il plot si sviluppa attorno all’ossesione di Kleopatra-Karmen di ricercare i musicisti della vecchia orchestra di Faud, zio di Bakia, allo scopo di riportarla in scena per vivere sul palcoscenico la storia di Karmen che altro non è che la stessa vita di Kleopatra. Siamo di fronte ad uno spettacolo che strizza l’occhio alla tradizione, al teatro dell’assurdo e ai più classici intrecci tra verità e finzione, che inizialmente confondono e disorientano lo spettatore, grazie anche a trovate sceniche inusuali. La parte iniziale dello spettacolo è vissuta come una sorta di climax che ha la funzionalità di presentare le micro-storie degli attori, che appaiono dalla platea, armati ognuno di uno strumento, che per tutta la narrazione funge da abile congegno di descrizione e dialogo. Solo dopo l’entrata in scena di Bregovic, sottolineata da un lungo applauso, il tono dell’opera cresce spasmodicamente grazie alla superba musicalità dei nove musicisti vestiti di viola e nero che partecipano al gioco del dualismo imperante.

Mentre la storia si impreziosisce di dettagli e strampalati personaggi esce dal coro Alen Ademovic, che nell’opera fa la parte di Ceausesku, poliedrico musicista che non solo esegue la ritmica degli arrangiamenti attraverso il suono della grancassa tradizionale, ma anche si eleva trasversalmente con un incantevole cantato e un zingaresco uso della fisarmonica.

Durante la narrazione, appare comunque innegabile, una nascente reminescenza legata all’irrazionale e favolistico mondo dei testi filmici di Emir Kusturica; non solo per la “Danza degli sposi” che tanto ricorda estratti di “Gatto nero Gatto bianco”, ma anche per l’uso stravagante dei costumi di Neso Lipanovic e per le disincantate e divertite vicende, capaci di mescolare desolante tristezza e serena speranza.

Lo spettacolo promosso dalla Grandi Eventi è uno show davvero impedibile, per la grande capacità di intrecciare significato e significante, attraverso filosofiche parole, danze e movenze che riportano alla mente la Siviglia gitana, ma sopratutto attraverso il suono dei fiati che trovano la loro massima espressione durante il duello tra il capitano Emilio e Bakia per conquistare l’amore di Karmen-Kleopatra.

La contesa, vede la sconfitta del comandante Emilio al termine della vorticosa sfida che infiamma protagonisti e pubblico sempre più coinvolto dalla vicenda. Il pathos cresce nella magnifica scena della rossa luna, nella quale i due amanti arrivano al gran finale dello sposalizio in cui si esplicita come la vita sia una sorta di pesante valigia…troppo pesante se da portare in solitudine. Così prima del bis ecco il velo della sposa portato da due angeli con i baffi che richiamano le parole di Vaska: “difficile trovare la felicità nella vita reale, ma una vita senza felicità sarebbe un bacio senza i baffi”. Mentre qualcuno dal pubblico urla “evviva gli sposi”, l’opera si chiude proprio con la poesia di Tonino Guerra “ Angelo con i baffi” letta da Bregovic-Brega, che lascia a tutti noi spettatori quella sensazione di fuggevole speranza che lentamente il racconto narrato è riuscito a costruire mattone dopo mattone.