Sigur Ros

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Castellazzo di Bollate (Milano)
17° festival Villa Arconti
26.07.2005

Sigur Ros

Poche volte mi accade di rimanere realmente colpito da un concerto o da un disco, in maniera tale da ripensare più volte alle estasianti sensazioni che la musica a cinque stelle riesce ad imprimermi, forse a causa dell’offerta troppo estesa di un mercato affamato, o forse complice il palato annoiato dai soliti sapori riveduti e corretti. Ancor più raramente mi è capitato di voler rivedere una seconda volta una band dal vivo e provare le stesse identiche ed incantevoli vibrazioni della prima volta, proprio perché le attese, vengono quasi sempre deluse dai fatti. In quel “quasi” rientrano gli ineffabili Sigur Ros, presenti, oggi come due anni addietro, nella verde e preziosa villa Arconti, a pochi silometri dalla Milano più conosciuta. Se nel 2003 il quartetto islandese, sconosciuto ai più, aveva avuto l’onere di aprire il festival guadagnandosi i favori di pubblico e critica, oggi la band porta con se l’onore di chiudere la kermesse con un sold out che ha poco di incredibile. Infatti, il sound accattivante dei Sigur Ros è riuscito nell’impresa di ammaliare gli amanti dell’alternative, nonché i raffinati e talvolta snobistici gusti di chi popola i grandi teatri italiani, musicati da classiche partiture. E’ cosi che sui seggiolini rossi antistanti il palco troviamo chi porta con se la predilezione per Muse o Cocorosie, accanto a chi non può far a meno di Mozart o Chopin.
Il bel concerto ha inizio attorno alle 22 celato dietro un enorme tendone bianco semi trasparente, che attraverso un gioco di ombre cinesi offre una visione piuttosto originale del concerto. La musica, tanto delicata quanto celebrale, affattura con straordinaria immediatezza (persino le zanzare sembrano impegnate nell’ascolto!), accompagnandosi con immagini oniriche, sfumate e vagamente panteistiche, che scorrono negli schermi posti dietro alla sezione ritmica. Mentre le sensazioni si moltiplicano nel tentativo di inseguire il suono lieve dello xilofono o quello dell’archetto di Birgisson, che accarezza le sei corde, ci si rende conto che non importa conoscere la tracklist. Infatti, come ha dimostrato “()”, album senza titolazioni, le parole sono solo un pretesto, uno strumento al completo servizio delle sonorità ricreate con dovizia. Non siamo però di fronte ad un oscurantismo presuntuoso, come qualcuno vuol far credere, bensì ad una scelta stilistica figlia di un habitat riflessivo come l’Islanda.
Complimenti quindi all’organizzazione del Festival di Villa Arconati, per aver voluto l’unica data italiana del gruppo, che tanto avrei la curiosità di vedere in un tour all’interno degli importanti teatri italiani, a seguito dell’uscita di “Takk” che con le sue 11 suite si preannuncia una fuga dall’ovvietà.