“I 100 migliori dischi Doom”, Stefano Cerati, recensione

“Doom in inglese significa destino avverso e implica una condizione di sofferenza perenne, un fato negativo a cui l’uomo non può sottrarsi”.

Però, Doom, per alcuni di noi, designa semplicemente la musica; una musica oscura, e introspettiva in cui ritroviamo neri presagi e nereggianti spazi claustrofobici. Questo sub-genere del metal, infatti, non solo rappresenta una divergenza rispetto a sonorità easy, ma anche e soprattutto un oppressiva metafora di una società che misconosce la linearità della vita. Ed è così che croci, fascinazione della morte, corde ribassate e distensioni emozionali fungono da fonte narrativa per un categoria che, similmente al Black Metal, sembra non avere interesse ad apparire ma piuttosto all’essere.

 

 

A raccontarci il Doom, dagli albori ad oggi, è Stefano Cerati, abile e puntiglioso nell’esaminare le 100 migliori produzioni sui generis, attraverso un percorso di circa 40 anni. Un sentiero non lineare, che volutamente non include  i padrini del genere (Black Sabbath), ma delinea un disegno narrativo in cui emergono buio e derivazioni sperimentali,  mostrando l’esigenza espositiva di separare nitidamente la realtà Doom da quella Stoner, troppo spesso assimilata al genere raccontato dagli Abysmal Grief e Acid Bath, che aprono l’analisi di questa nuova pubblicazione Tsunami Edizioni.

Scorrendo le pagine del libro avrete modo, come da attesa, di valutare, rivalutare, scoprire o ricordare dischi irrinunciabili come The Eternal Mirror, alimentato dalla vocalità mitologica di Lee Dorrian, le origini black dei Structure Atlas of Human e la follia dilatata dei Moss, che con il loro Sub Templum offrono uno sguardo straordinariamente desolante.

Pertanto, non indugiate…entrate tra le nebbie oscure del Doom e poco importa se siete appassionati o neofiti, perché se portate con voi un’attentiva curiosità scoprirete irrinunciabili mondi sommersi.