Oumou Sangare Live

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Era un anno che aspettavo di poter riascoltare Oumou Sangare dal vivo, da quando, l’estate scorsa, ero partito con la mia vecchia Passat, assieme ad un amico anch’egli appassionato, alla volta di un piccolo paesino nel cuore delle Marche, per assistere ad una delle due date italiane della sua tournee.

Quella volta ero tornato a Roma nel cuore della notte, stanco ed entusiasta, con il desiderio di riascoltarla ancora. Purtroppo Oumou non viene “spesso” in Italia. Mi ero quasi rassegnato all’idea di rincorrere un suo concerto in qualche sperduto paese della Francia, quando scopro che sarebbe stata a Firenze il 24 ottobre, nell’ambito della rassegna “Donne d’Africa” all’Auditorium FLOG. Tra la notizia e la decisione di andare è passato il tempo di un battito di ciglia.

Quando la fatidica domenica è arrivata sono nuovamente montato in auto e, accompagnato da un altro amico (trascinato più per spirito di avventura che per reale interesse), ho imboccato il casello di Fiano Romano in direzione Firenze.

Finalmente, dopo aver seguito un rigoroso approccio “per tentativi ed errori” (in cui, per fortuna, hanno vinto i tentativi), siamo riusciti in serata a trovare l’Auditorium e, mancando un’ora all’inizio del concerto, ci siamo “piazzati” in prima fila, proprio sul lato dove avrebbe cantato Oumou.

L’Auditorium FLOG è un bel posto per ascoltare musica: ad occhio conta circa un migliaio di posti “stretti”, comprese le persone in piedi dietro e ai lati della platea. Ha una struttura ingegnosa di travi che sorreggono il tetto a pianta esagonale, e sfodera un’acustica davvero molto buona.

Attendiamo l’inizio del concerto andando e venendo dal bar collocato all’interno della sala, che piano piano si riempie. Poco prima delle 22 i musicisti prendono posto sul palco e partono con il loro straordinario Wassoulou groove. Il primo ad attaccare è ovviamente il Kamalengoni (cordofono tipico del Wassoulou, che si suona pizzicando le corde con due mani ) di Brehima Diakite, che rappresenta l’ossatura ritmica della musica. Assieme a lui Petit Sekou Diabate al Djembé, Oumar Diallo al basso elettrico, Aliou Dante alla batteria, Hamane Toure alla chitarra elettrica, Abdulaye Fofana al flauto e Soumana Tereta al Gojé (violino africano) e piccole percussioni. Tutti in costume tradizionale.

L’aria si scalda fino a quando entrano le coriste, Nabintou Diakite e Sata Koite, le quali cantano e lanciano in aria i loro Flé, uno strumento tradizionale composto da una mezza zucca al quale sono appese delle conchiglie. Quando sul palco sale Oumou Sangare e comincia a cantare, l’atmosfera si fa rovente.

E’ incredibile, questa musica dal vivo prende il volo, trascinando con sé gli ascoltatori molto più in alto di quanto non facciano i dischi. Come per altri artisti africani, gli arrangiamenti creati per le performance dal vivo sono più aggressivi e sincopati, fatti a posta per invitare il pubblico alla danza Il sound è realmente travolgente, il ritmo (ma dovrei dire “i ritmi”, visto che stiamo ascoltando un magnifico esempio di poliritmia africana) non ti lascia andare via neanche un istante.

Uno ad uno Oumou propone i brani dei suoi album e anche qualche inedito (ho sentito che sta per uscire un nuovo disco), dialogando con il corpo e con lo sguardo con gli altri musicisti e conducendo inesorabilmente il pubblico nel centro della sua musica Dopo tre brani Oumou prende la parola, naturalmente in francese, per spiegare che il pezzo successivo è dedicato alla sofferenza delle donne africane e di tutte le donne. “In Africa – dice – le donne sperimentano la sofferenza per tutta la loro vita. Quando sono piccole e subiscono mutilazioni gentiali, quando si sposano perché non lo fanno per loro scelta, quando fanno i figli e, nel corso della loro vita, lavorando duramente chiuse in casa, sempre in posizione subalterna rispetto al marito. La loro condizione è ingiusta, e sono le donne che devono agire per prime per cambiarla, uscendo dalle loro case e un ruolo nella società. E questo fara bene anche alla società, perché le donne mettono al mondo i loro figli e gli trasmettono, oltre al latte, la loro stessa intelligenza; per questa ragione le donne sono congenitamente contrarie alla guerra e alla violenza. Bisogna allora fare in modo che si modifichi l’equilibrio che vede oggi le donne chiuse in casa e gli uomini impegnati nella vita pubblica: troviamo il modo affinché il lavoro in casa e nella società sia più equamente distribuito”. Questo è il tema trattato da Magnoumako, un pezzo splendido tratto dal suo ultimo CD Oumou, e qui suonato in una versione ancora più bella di quella in studio. La musica ondeggia, con crescendi strumentali straordinari che arrivano all’apice e si placano all’improvviso, ridonando lo spazio alla voce di Oumou.

Dopo una pausa in cui, mentre scorre la dolce ballata Djorolen, tiriamo il respiro, Oumou e le sue coriste lasciano il palco, tornando poco dopo “vestite per ballare”. Sembra impossibile, ma la musica cresce ancora. Il pezzo successivo, spiega Oumou, si intitola Maladon, che vuol dire ospitalità. “L’ospitalità è africana. Dovunque andrete, in Africa, sarete accolti come dei re, sia che vi troviate a bussare alla porta di persone ricche che di persone povere. Anzi, sono proprio le persone povere ad essere le più ospitali, questa è la tradizione dell’Africa. Una tradizione che non deve essere mai persa.” Il pubblico applaude, forse in molti stiamo pensando a come trattiamo gli africani quando bussano alla porta del nostro paese. E la musica continua, sula palco si balla, il pubblico canta e batte ritmicamente le mani.

Il lungo bis dà modo ad Oumou di presentare i suoi musicisti, uno ad uno, racontandone la storia e tessendone di ognuno le lodi, come si usa in Africa. Quando presenta il giovane bassista spiega che appartiene all’etnia Peul, le cui attività principali sono la caccia e la pastorizia. Dalle sue parole si intuisce che i Peul non hanno in Mali la stessa considerazione riservata ai Bambara e ai Malinke, e per questo Oumou loda i Peul in modo particolare, definendoli le persone più intelligenti di tutto il Mali. Racconta poi di quella volta in cui gli chiesero da dove venisse. “Dal Mali, gli dissi”. “Non conosco il Mali – gli risposero – conosco invece la città di Tumbuctu ….” “Ma – replicò Oumou – Tumbuctu è in Mali! E in quella circostanza mi accorsi che Tumbuktu era più famosa del Mali stesso”.

Siamo arrivati alla fine, è mezzanotte passata e ci aspetta il ritorno a Roma. Prima di andare via ne approfitto per cogliere l’ultima occasione: mi accaparro fulmineamente il Djembé di Petit Sekou Diabate, da lui messo in vendita subito fuori dalla sala. Con il Djembé in mano vengo accompagnato nei camerini a salutare Oumou, la diva del Wassoulou. Grazie di tutto madame, verrò ancora ad ascoltarti la prossima volta.

Mentre torniamo a casa, tra i banchi di nebbia sulla A1, il mio amico mi ringrazia di averlo trascinato in questo incredibile viaggio nel cuore del West Africa ….