Alice In The Cruel Sea / Alice In The Cruel Sea

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Inizierò questa mia recensione con un pizzico di autocompiacimento evidenziando il privilegio di chi, scrivendo recensioni di diverso tempo, ha la possibilità di conoscere sempre nuovi artisti, senza mai porsi limiti né in termini di stili, né di qualsiasi altro tipo. Non starò qui a raccontarvi le modalità con le quali “mi sono imbattuto” negli Alice In The Cruel Sea, ma credo che quella delle favorevoli “coincidenze astrali” potrebbe essere una buona metafora per capirlo e, è proprio il caso di dirlo, mi reputo fortunato che ciò sia successo.

Se c’è una cosa che mi colpisce da sempre quando ascolto un brano per la prima volta sono la melodia e la voce, mentre il resto – arrangiamenti e produzione – arriva decisamente dopo. Ebbene Sara Rinaldi, leader e cantante della band internazionale, con sede stabile a Londra, ha uno di quei timbri dalle qualità estetiche notevoli, oltre a una tecnica chiaramente costruita col tempo e con l’esperienza. Il loro omonimo Ep d’esordio, composto da quattro canzoni, è un po’ come un buon vino: appena bevuto, ti viene subito voglia di chiedere un altro bicchiere. Ogni canzone è costruita intorno a linee melodiche sognanti, da ascoltare preferibilmente la notte o in automobile, in altre parole favorendo al massimo l’immaginazione. Le tastiere sono spesso presenti e preponderanti, ma soprattutto la chitarra dell’ottimo Filippo Faustini contribuisce a ricamare i vari sfondi.

Quello che stupisce è che non sembra affatto di trovarsi di fronte a una compagine agli esordi, ma al contrario una ben navigata, perché tutto suona praticamente perfetto a cominciare dal primo singolo “Bewteen the devil and the deep blue sea” – che inizia con il basso potente del talentuosoAndy Kosakowski. – Il brano nell’insieme è sufficiente per far confermare sin da subito tutte le qualità, fino a qui sottolineate mentre, analizzando il testo (scritto dalla Rinaldi come tutti gli altri), si intuisce un’affascinante inquietudine che in qualche modo connoterà tutti i vari episodi. “Easily” è un piccolo gioiello ed è la canzone che preferisco. Ritengo abbia tutte le caratteristiche per divenire una hit da classifica, se e quando la band riuscirà ad emergere in questo mercato musicale, sempre più complesso e duro.

La languida ballata “A day to swallow” è come un letto di seta morbido, sul quale riposare dopo una giornata faticosa, mentre la finale “Siren body” ha un refrain ascensionale, che spezza il cadenzare quasi ipnotico delle strofe. Un pezzo musicalmente più complesso, ma forse per questo altrettanto intrigante.

Termino ricordando che la band (i citati Kosakowsky e Faustini sono anche produttori del disco) è attualmente in tour in Inghilterra e augurandomi di riuscire a vedere un loro concerto nella mia zona (Bruxelles), o magari in Italia durante le prossime vacanze estive. Sono certo che riusciranno ad emozionarmi almeno quanto questo EP d’esordio al quale spero, un giorno non lontano, seguirà un vero e proprio album, dello stesso livello.