Jaguanera “Runners”, recensione

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Avviso ai naviganti: Runners è un disco d’esordio!

Dunque… come ogni disco d’esordio, porta con sé sia la voglia di esprimere genuine sensazioni sonore, sia fisiologiche ingenuità espressive e usuali armonizzazioni perfettibili. Pur ammettendo che il terzetto romano porta in dote episodi sonori ben calibrati e discretamente definiti con attenzione creativa, appare innegabile un sorta di acerbità compositiva per certi versi ancora limitante. So di essere alquanto severo definendo un incipit di questo tenore, ma partendo dall’assioma che su Music On tnt appaiono solo dischi di qualità, siamo già a metà del guado quando arrivo ad ammettere la buona fattura di questo debut. Infatti, brani come Friday rappresentano proprio il lato buono della band, capace di definire con arte un tracciato semplice, ma ben armonizzato tra spezie hip pop, synth rock ed elettronica popular, ben amalgamata alle sensazioni dell’ottima Lullaby to scream, in cui la percezione di deja ecù si definisce al meglio attorno ad un edulcorata e ben bilanciata linea del cantato, chiusa su di un convincente outro. La copertura della chiusura anticipa di pochi istanti la finger art di Brother, il cui background offre voci filtrate, giochi synth rock e andamenti destabilizzanti interposti tra hip hop e indie.

La band al contempo però tenta di intraprendere un canale meltin pot talvolta eccessivo nei suoi poco definiti passaggi. Brani come Waitin’in vain rappresentano un eccessiva ricerca di sperimentazione e coniugazione di verbi sonori fuori tempo, proprio come accade nell’iniziale My wave. Infatti il ritmo in levare, alimentato da un elctro rock semplice e diretto, accompagna una chitarra che si erge protagonista solista, appoggiata a forza ad una linea di drum set che osa ancora poco. Il brano appare dunque un esempio di eccesso che finisce più per disturbare che per incuriosire, proprio a causa dei troppo rapidi e mal amalgamati cambi di direzione, in cui ancora manca un reale collante.

Di tutt’altra fattura appare invece State of nation, tra i brani migliori dell’album che, grazie alla sua aria Police anni 80, propone una semplice e piacevole sensazione retrò convincente al pari della west indie sensation definita da Hot summer afternoon. In quest’ultima il groove circoscrive con buon margine di miglioramento, un riff semplice e diretto, forse troppo poco orientato ad un sapore indie che ne avrebbe fatto una piccola perla. Infine, tra Stones e la splendida Amsterdam (che da sola vale il prezzo di questo disco) trova spazio il gioco sintetico di Cosmic love vision, il cui sapore vintage definisce ancora una volta la strana alternanza di un disco che possiede due lati: quello da riascoltare all’infinito e quello che forse…