Venezia “La culla”, recensione

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Un disco stranito, teatrale, coinvolgente, travolgente, sottile e deviante, edito dalla neonata 800 A records, la rock’n’roll label di Palermo che torna sulle nostre pagine dopo qualche mese, ma a differenza delle release precedenti, questa volta l’etichetta della Trinacria ha fatto davvero centro. Un album perfetto nel suo genere, figlio di una semplicità esecutiva ridotta al minimalismo compositivo tanto da potersi definire inusuale, proprio come la vocalità di Andrea Venezia, in perfetta consonanza con l’armonica e con una narrante batteria. A questo potenziale ipnotico e magico si alternano fortunati intarsi synth, sonagli, timpani e giochi sonori di un mondo che alterna momenti euritmici a disarmonie cupe e nebbiose.

Ad aprire La culla è il reiterato suono preparatorio ed incupito di Troppo tardi, dalle cui note inquietanti maturano accelerazioni soniche ben definite dal drumming cadenzato e sempre perfettamente interposto. Proprio dalla minimale sezione ritmica derivano le sensazioni di crescendo dispersivo di un album che nel suo incipit riesce a trasformare un intento rumoristico in armonia, snodando un fil rouge cardiaco definito in overlay . I volumi sembrano talvolta maggiorati e si accompagnano nel bridge di passaggio ad un armonica retrò, che intercala i passaggi delle particolari linee vocali.

Il disco colpisce allo stomaco non tanto per la sua durezza, ma piuttosto per una vocalità teatrale e recitante. È infatti la roca e filmica voce del frontman a gestire la deflagrazione di un alt venato di blues, tra passaggi poco lineari e a tratti free, che si inerpicano su di interessante partitura. Le sonorità atmosferiche, addirittura proto surferock, anticipano la titletrack, splendida traccia dall’impatto arduo per l’estremizzazione recitativa. Una sintomatologia caposelliana che si snoda attorno ad un minimal blues accovacciato all’ombra di una batteria rumoristica ed un songwriting disorientante.

Con Il pozzo la band si ritrova poi in un ottimo groove dall’impostazione elettronica, che nello stretto matura in un grasso blues ermetico, accompagnato dalle bacchette e da una elitaria e viva urgenza narrativa dalla scenografia fittizia. Proprio da questi luoghi surreali proseguiamo il cammino con Whiskey Harp , per arrivare alle Radici della musica nera, con al sua disperazione alcolica, il suo dolore e le sensazioni metaforizzate da un assolo atto a raccoglie le forze per raccontare in maniera strumentale un andamento che si fa curioso e fuori schema con Dolce è la sera , in cui sensazioni Procol Harum ci ammaliano per poi tornare sulla via scomoda e disturbante di Oramai e Mondo di consumi

A chiudere la porta è infine Cenere e fumo degna chiusura di un disco vivo e accattivante, di cui è stato facile parlare perché a differenza di molti altri prodotti di questo inizio anno ha davvero qualcosa di nuovo da raccontare.

TRACKLIST:
1- Troppo Tardi
2- La Culla
3- Il Pozzo
4- Whiskey Harp ( parte 1)
5- Whiskey Harp ( parte 2)
6- Dolce E’ la Sera
7- Oramai
8- Cicli
9- Mondo di Consumi
10- Cenere e Fumo