Storia della New wave

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2. IL POST-PUNK
Prima di intraprendere questo viaggio musicale, non possiamo non citare le intuizioni di coloro che (tra la fine degli anni ’60 e la prima metà dei ’70) hanno aperto la strada al punk e alle sue immediate derivazioni: i primi due album dei Velvet Underground di Lou Reed e John Cale, i primi due degli Stooges di Iggy Pop e i devastanti esordi degli MC5 e dei New York Dolls.

Reso omaggio anche agli Heartbreakers, a Richard Hell, ai Clash e ai Sex Pistols (i cui rispettivi primi album, tutti del ’77, sono pietre miliari del punk comunemente inteso), dobbiamo però ribadire come il punk sia un fenomeno che, per sua stessa natura (elementarità dell’approccio stilistico e delle capacità tecnico-compositive), tenda ad evolversi verso strutture più complesse o comunque in commistione con meccanismi compositivi e tensioni espressive diverse e più articolate.

Antesignane in questo campo sono due formazioni americane, i Talking Heads e i Television, le quali, memori della stupefacente lezione lirica e sonora dei primi due album di Patti Smith [HORSES (75) e RADIO ETHIOPIA (76), entrambi in bilico tra i Velvet Underground e Leonard Cohen] esordiscono con due ottimi dischi proprio nel ’77 (l’album delle ‘teste parlanti’ ha come titolo proprio l’anno di uscita).

Nei primi, la velocità punk degli inizi (ricordiamo la frenetica “Psycho killer”) si fonde subito con ritmiche funky, chitarrismo sperimentale e misurato utilizzo dell’elettronica: il tutto sfocia in uno strepitoso crescendo con gli album MORE SONGS ABOUT BUILDINGS AND FOOD (78), FEAR OF MUSIC (79) e REMAIN IN LIGHT (80). In quest’ultimo, David Byrne e compagni (con l’aiuto determinante di Brian Eno) danno sfogo ad una creatività senza precedenti, producendo veramente un disco epocale, ‘avanti’ di almeno 15 anni rispetto alle sonorità del periodo.

I Television di Tom Verlaine incidono MARQUEE MOON, un capolavoro di chitarrismo ‘sixties’ irruente e delicato allo stesso tempo che conferma, con le eccellenti capacità tecniche del leader, come il post-punk vada prendendo pian piano le distanze dalla rozza superficialità del primo punk. Segue l’anno successivo un altro bel disco, ADVENTURE, sostanzialmente sulle tracce del precedente.

Ma è in Gran Bretagna che fioriscono le piante più rigogliose.
E’ il caso degli XTC, i quali, dopo aver partorito nel ‘78 i due primi album (WHITE MUSIC e GO 2) in pieno stile pop-punk, infilano un trittico straordinario [DRUMS AND WIRES (79), BLACK SEA (80) e ENGLISH SETTLEMENT (82)] dove il punk è solo un ricordo, sovrastato da un chitarrismo sempre in bilico tra pop e sperimentazione, da un intelligente recupero per niente nostalgico di trame psichedeliche ‘sixties’ e da un ‘mood’ tipicamente ‘beatlesiano’, il tutto avvolto in arrangiamenti sofisticati e malinconici, sorretti da testi intelligentemente umoristici e ironici.

Oppure è il caso degli Stranglers, strumentisti e compositori di vaglia a differenza di moltissime band punk: il loro percorso si dipana, a partire da quel seminale anno che è il ’77, attraverso i primi due album (RATTUS NORVEGICUS e NO MORE HEROES), punk all’apparenza ma già percorsi da nervose trame psichedeliche tracciate dalle tastiere, per continuare con i successivi BLACK AND WHITE (78), THE RAVEN (79), THE MENINBLACK (81) e LA FOLIE (81) dove la padronanza tecnica e compositiva mette d’accordo gli ultimi rigurgiti punk con strutture progressive di buona fattura.

Citati i Fall [ricordiamo almeno, dalla loro vastissima discografia, LIVE AT WITCH TRIALS (79), GROTESQUE (80), HEX ENDUCTION HOUR (82) e PERVERTED BY LANGUAGE (83)], la cui ricerca ritmico-armonica supera da subito per complessità e genialità la semplicità punk pur derivando da essa, è d’obbligo fare riferimento ad una band la cui attitudine stilistica, pur assimilata agli stilemi punk, si evolve secondo un’intelligente traiettoria sonora che la porta a fissare dei cardini melodici ineludibili in ambito new wave: sono i Buzzcocks, i quali testimoniano la loro vivacità post-punk in soli tre album [ANOTHER MUSIC IN A DIFFERENT KITCHEN (78), LOVE BITES (78) e A DIFFERENT KIND OF TENSION (79)].

Legati ai Buzzcocks sono i Magazine [il leader Howard Devoto milita nella primissima incarnazione rigorosamente punk dei Buzzcocks]. Qui la frenesia punk si mischia indelebilmente (col predominante uso delle tastiere) alle intuizioni glam-sperimentali dei Roxy Music (segnatamente i primi due dischi nei quali sono presenti le sonorità genialmente non ortodosse di Brian Eno): ricordiamo i primi tre album REAL LIFE (78), SECONDHAND DAYLIGHT (79) e THE CORRECT USE OF SOAP (80).

Simili per approccio stilistico sono i Japan di David Sylvian e gli Ultravox di John Foxx. I primi, dopo gli inizi [ADOLESCENT SEX (78) e OBSCURE ALTERNATIVES (78)] a imitazione pedissequa dei Roxy Music più glam-commerciali, producono, in un entusiasmante crescendo di originalità, QUIET LIFE (79), GENTLEMEN TAKE POLAROIDS (80) e TIN DRUM (81) dove la new wave si tinge di soffusa elettronica e di piccole ma decisive tracce etniche ed ambient. Queste ultime caratteristiche saranno alla base di tutti i lavori successivi di Sylvian, una volta sciolti i Japan, e segnatamente di quello che è uno dei grandi capolavori della new wave, ossia il suo esordio solista dell’84, BRILLIANT TREES, da ricordare accanto all’e.p. WORDS WITH THE SHAMAN (85), degno compagno della ricerca etnica di Peter Gabriel.

Gli Ultravox sono una band straordinariamente originale, capitanata da un artista poliedrico come John Foxx. I tre album della loro prima incarnazione [ULTRAVOX! (77), HA! HA! HA! (77) e SYSTEMS OF ROMANCE (78)] prendono formalmente le distanze dal primo punk grazie all’uso del violino e delle tastiere che richiama certa ricchezza sonora dei primi ’70, ma ciò che li rende, in fin dei conti, dei capolavori sono le stupefacenti capacità creative del gruppo (accompagnato inizialmente dalla produzione di Eno) impegnato ad unire con magica fluidità le opzioni più melodiche con una ricca tensione cupamente avanguardistica.
La successiva carriera solista di Foxx, così come la seconda incarnazione del gruppo, saranno materia specifica della parte relativa all’elettronica.

Soffermiamoci ora su due gruppi fondamentali dell’estetica punk/new wave, i Clash e i Jam. I primi, capitanati da Joe Strummer e Mick Jones, dopo aver esordito con un capolavoro del punk [THE CLASH (77)] e con un secondo album [GIVE’EM ENOUGH ROPE (78)] di transizione, in bilico tra istanze ancora crudamente punk e prime suggestioni wave, producono tra il ’79 e l’80 una valanga di canzoni che vanno a comporre due monumenti come il doppio LONDON CALLING e il triplo SANDINISTA: entrambi forniscono una straordinaria ricerca e rielaborazione delle matrici bianche (il rock’n’roll e il country) e nere (il blues, il funky, il reggae) del rock, dando il ‘la’, con dieci anni di anticipo, al ‘crossover’. Il successivo COMBAT ROCK (82) (sia pure edito come album singolo) si propone come la maestosa ‘summa’ della fuga in avanti dei Clash.

I Jam, proprietà quasi esclusiva del grande Paul Weller, dopo essersi barcamenati nei primi due album (IN THE CITY e THIS IS THE MODERN WORLD, entrambi del ’77) tra la velocità del punk e l’amore per gli Who, approfondiscono, con ALLA MOD CONS (78), SETTING SONS (79) e SOUND AFFECTS (80), il loro amore per certe sonorità ‘sixties’ e per il rhythm and blues assieme ad una connotazione sempre più marcatamente politica nelle liriche che riprende la protesta sociale e il ribellismo contro il sistema (sempre più consapevole) dei Clash, politicizzati sin dall’inizio. L’ultimo album prima dello scioglimento, THE GIFT (82), evidenzia che le preferenze di Weller si sono ormai spostate verso un suono decisamente black: stanno nascendo gli Style Council, la sua nuova creatura intrisa di jazz, soul, funky e blues che, dopo diversi singoli di assaggio [tra cui ricordiamo la splendidamente evocativa “Long hot summer” (83)], produrrà nell’84 un capolavoro della new wave più ‘commercialmente sperimentale’ come il fantasmagorico CAFE’ BLEU.

Per rimanere in ambito ‘nero’ dal punto di vista musicale e ‘rosso’ dal punto di vista politico, non possiamo dimenticare due meteore del post-punk inglese (schierate apertamente contro l’establishment conservatore di marca tatcheriana di fine ’70 – inizio ’80) che, sia pure nel loro rapido passaggio, hanno lasciato tracce indelebili nell’elaborazione di determinati percorsi new wave: i Pop Group [violenza punk, frenesia funky e rumorismo creativo nell’esordio Y (79) e nel successivo FOR HOW MUCH LONGER DO WE TOLLERATE MASS MURDER? (80)] e i Gang of Four [straordinario incrocio tra minimalismo punk, ritmica funky e chitarrismo tagliente senza compromessi nel fulminante esordio ENTERTAINMENT! (79) e nel successivo SOLID GOLD (81)].

Un’altra meteora sono i Dexys Midnight Runners, titolari di due album [SEARCHING FOR THE YOUNG SOUL REBELS (80) e TOO RYE AY (82), quest’ultimo un vero capolavoro] che, del punk, recuperano la frenesia, ma che sono essenzialmente pervasi di soul, folk e rhythm and blues.

Alla new wave sono riconducibili i primi dischi di due dei gruppi più famosi del rock degli ultimi 20 anni: i Police di Sting e gli U2.
I primi esordiscono nel ’77 addirittura con un singolo di chiara impronta punk, “Fall out”, ma già i passi successivi sono caratterizzati da un’intelligente commistione di stili, che vede in primo piano una chitarra punk-sixties, la creazione di accattivanti melodie pop e una ritmica rock-reggae genialmente rielaborata dal ‘drumming’ di Stewart Copeland: il tutto produce OUTLANDOS D’AMOUR (78) (che contiene quel capolavoro di delicatezza lirico-sonora che risponde al nome di “Roxanne”) e l’ottimo REGGATTA DE BLANC (79), prima che il sofisticato pop d’alta classifica (pur di pregevole fattura) diventi obiettivo predominante.

Le incisioni iniziali degli irlandesi U2 si inseriscono alla perfezione nel post-punk, connotate come sono da un chitarrismo di impronta psichedelica e da un’invidiabile freschezza compositiva e di arrangiamento. I primi tre album racchiudono l’evoluzione del gruppo di Bono che misura [da BOY (80), attraverso OCTOBER (81), fino alla compattezza di WAR (83)] la crescita di un suono che si fa via via sempre più epico e coinvolgente, merito delle sempre migliori capacità vocali del leader e del potente ‘drumming’ di Larry Clayton. Liricamente si spazia dall’esposizione, ingenua ma ficcante, dei disagi giovanili a contatto con la realtà amara del mondo alla coraggiosa presa di posizione pacifista nell’ambito dell’annoso contrasto tra cattolici e protestanti in Irlanda. Nell’84, complice imprescindibile Brian Eno, gli U2 incidono THE UNFORGETTABLE FIRE, un album fondamentale nel definire i canoni necessari a creare un ponte di collegamento tra la new wave e le intuizioni ambientali di Eno.

Irlandesi come gli U2 e provenienti dal loro stesso ambiente musicale, i Virgin Prunes, pur frammentari nelle loro uscite discografiche, producono nell’82 un geniale album, IF I DIE, I DIE, in bilico tra folk, rumorismo e una sperimentazione ritmica quasi tribale.

Scozzese è invece l’origine dei Simple Minds, i quali, al pari di altri gruppi analizzati in precedenza, privilegiano l’uso delle tastiere (evidente il tentativo di ricalcare senza troppa originalità i Roxy Music nei primi due album, LIFE IN A DAY e REAL TO REAL CACOPHONY, entrambi del ’79). La svolta viene annunciata nell’80 col terzo album, EMPIRES AND DANCE, e si concretizza con i due dischi successivi: SONS AND FASCINATION (81) [con allegato il mini album proveniente dalle stesse ‘sessions’ SISTER FEELINGS CALL (81)] e NEW GOLD DREAM 81-82-83-84 (82) sono due autentici capolavori, dove una ritmica trascinante, a volte quasi funky, e i maestosi interscambi tra chitarra e tastiere dominano il tutto, governati dalla sempre più matura voce di Jim Kerr.

Di origine australiana (ma inglesi d’adozione) sono invece i Birthday Party del grandioso Nick Cave: il loro suono è un originalissimo mix di sgraziata velocità punk, di cabaret sperimentale tedesco, di disperato amore per i grandi bluesmen americani (i neri canonici e l’amelodico Captain Beefheart) e di rumorismo lancinante e ossessivo, il tutto completato dalla cavernosa, cupissima, ma straordinariamente affascinante voce del leader. Nei pochi anni di vita, contrassegnati da gravi problemi di droga, producono tre album [THE BIRTHDAY PARTY (80), PRAYERS ON FIRE (81) – il migliore per coesione e compattezza – e JUNKYARD (82)] e due mini lp (BAD SEED e MUTINITY!, entrambi dell’83). Intrapresa la carriera solista, Nick Cave esordisce nell’84 con FROM HER TO ETERNITY, un’amelodica ma geniale rilettura del patrimonio rock, blues e country americano, proseguendo poi la strada proponendosi in maniera originale ed emozionante nell’ambito della canzone d’autore.

Passiamo ai Psychedelic Furs, fautori di un suono in bilico tra punk e psichedelia (belli gli intarsi di sax e chitarra) duro ma fluido, che ricorda sia il glam dei Roxy Music che quello dei T. Rex di Marc Bolan. Notevoli, per il rigore strumentale, sono l’esordio, omonimo, dell’80 e il secondo, TALK TALK TALK, dell’anno dopo. Su tutto la monocorde ma affascinante voce di Richard Butler, spesso e volentieri in debito verso le tonalità bowiane.

Belli anche Echo & the Bunnymen, con una chitarra che percorre in maniera lancinante ma mai ossessiva le canzoni donandole un decisivo tocco di rock psichedelico che ricorda spesso gli U2 (o viceversa). I primi due album [CROCODILES (80) e HEAVEN UP HERE (81)] sono i più genuini e creativi.

Nei Sound l’amore per la psichedelia è sottolineato, invece che dalle chitarre, dall’uso delle tastiere decisamente ‘sixties’: anche qui i primi due dischi [JEOPARDY (80) e FROM THE LIONS MOUTH (81)] sono i migliori.

In ultimo parliamo dei Teardrop Explodes, la straordinaria formazione capitanata da Julian Cope, titolare di due album [KILIMANJARO (80), capolavoro di moderna e guizzante psichedelia, e WILDER (81)] dove il suono delle tastiere, memore dei Pink Floyd e dei Soft Machine, si mischia ai bizzarri richiami al genio malato di Syd Barrett. Scioltosi il gruppo, Cope produrrà nello stesso anno (84) due nuovi capolavori psichedelici (WORLD SHUT YOUR MOUTH e, soprattutto, FRIED) splendidamente evocativi del fantasma dell’ex leader dei Floyd.