Átta

Sigur Rós (2023)

La chiave di lettura per comprendere l’ultimo attesissimo lavoro dei Sigur Ros richiede due passi semplici ma fondamentali: aprire Google traduttore e tradurre la parola “Atta” dall’islandese all’italiano.

Per chi di voi ha accentato bene la “a” iniziale, la traduzione corretta sarà “otto”.

Esatto, “otto”. Otto come il numero di dischi finora pubblicati dalla band islandese, che nonostante i dieci anni passati dal loro ultimo disco di inediti, “Kveikur”, non è mai stata realmente con le mani in mano.

Tra il 2018 e il 2020 la band ha infatti pubblicato il complesso “Route One”, progetto sperimentale che ha portato Jonsi e soci in lungo e in largo per la loro isola natìa, a cui ha fatto seguito “Odin’s Raven Magic”, registrazione di un concerto del 2002 in cui la band reinterpretava, con l’ausilio di un’orchestra, un antico poema epico della tradizione islandese risalente al XVII secolo.

Influenzati indubbiamente dalle uscite sopracitate, il gruppo ci consegna un disco impossibile da analizzare brano per brano. Dieci movimenti che suonano come un unico immenso etereo canto boreale nonostante le divisioni e i silenzi tra essi.

Il sound di quest’ultima fatica discografica inoltre è frutto di un particolare equilibrio di dinamiche interne alla band, che ha visto l’abbandono di Orry Dyrason, batterista di lunga data del gruppo, e il ritorno del tastierista e polistrumentista Kjartan Svenisonn.

Ed è proprio in questa sorta di passaggio di testimone indiretto batteria/tastiere che comprendiamo le vere radici sonore di “Attà”, una raccolta di dieci canzoni corali quasi totalmente aritmiche composta da pangee sonore e voci campionate da altre dimensioni (“Glòò”), piece orchestrali artiche (“Bloodberg”, “Mor”, “Ylur”), poemi viscerali dream-folk (“Skel”, “Andrà”) e canti tribali cardiac-rock (“Klettur”) che trovano il proprio epilogo naturale in un post-rock epico e intimo (“Gold”, “Fall”, “8”) non a caso, posto alla fine.

La band di Reykjavic quindi compie di nuovo la missione, regalandoci come ad ogni uscita (ormai da trent’anni) un nuovo e avvincente racconto sonoro, che trova il suo punto di forza nella sua forte introversione.

Eh sì, perché la bellezza di “Attà” è racchiusa tutta nella assoluta volontà di comprenderlo, di scoprirlo e riscoprirlo esplorandone ogni angolo, assorbendolo lentamente fino a quando non implode dentro, in silenzio, mentre ti ruba l’anima a passo felpato.